
Monologo interiore di un amministratore calabrese avvisato dalla 'ndrangheta. Ogni riferimento a nomi, persone, fatti o cose è puramente causale.
"A un mese dell'insediamento in Comune mi arrivano strani segnali, seguiti da minacce più o meno esplicite. La classica lettera composta da caratteri di giornale asimmetrici, disposti a scalare, l'inequivocabile bossolo marca Fiocchi, l'indicazione del posto in cui i figli si vedono con gli amici dopo la scuola. L'appalto sulla gestione della spazzatura fa gola. Devono lavorare quelli che diciamo noi: devi esternalizzare o fare una gara al massimo ribasso.
Il sottotesto di questi atti minatori è questo: stai facendo troppo di testa tua. Devi renderci conto. Qui comandiamo noi. Alzano il tiro. Sono intimidazioni che chi si mette al servizio di una comunità in terra di frontiera mette in preventivo. La strategia del terrore comincia così. Destabilizzante. Per quanto cresciuto a pane e citazioni di Giovanni Falcone, vacillo, ho un travaglio interno lacerante. Chi me lo fa fare? Ho una famiglia, forse sto mettendo a repentaglio la sua incolumità. Se denuncio, qualcuno riferirà. E' pieno di talpe e servitori infedeli anche tra le forze dell’ordine. Poi anche dei magistrati non mi fido totalmente. Mi metteranno il telefono sotto controllo e mi affideranno una scorta. La mia vita sarà un inferno. Perderò la mia tranquillità quotidiana. Però nei paesi vicini quella società gestisce incontrastata il redditizio settore dei rifiuti. Come faccio da solo a oppormi? I dilemmi interiori mi logorano. Denunciare o subire passivamente? Meglio vivere in piedi che morire strisciando.
Alla fine di questa vita non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma credibili. Non lo vedi Gaetano Saffioti? Ha fatto arrestare diversi mafiosi, vive da dead man walking, lavora in tutto il mondo tranne che in Calabria. E poi? Eppure in campagna elettorale, le parola 'ndrangheta, bene confiscato, antimafia non hanno avuto diritto di cittadinanza. Almeno tra i miei oppositori. Eppure c'era un assessore amico di un amico, parente di un uomo con precedenti penali per 416 bis, insomma tutto sembrava filare liscio... Non devono averla pensata così Mimmo Lucano, Rosario Rocca, Salvatore Fuda, ma io non riesco proprio a fare l’eroe, lo scassaminchia. No, mi arrendo, domani mi dimetto. Prendo la via del Nord, cambio vita. Cercherò di dare un avvenire ai miei figli. Poi però penso che non è un problema solo ‘nostro’.
Leggo sui giornali queste intercettazioni: "Noi diamo una mano a tutti qui al Nord in politica, conosciamo tutti. I sindaci qui sono tutti amici nostri, li aiutiamo noi a vincere". E ancora: "Dobbiamo essere come i polipi, ci dobbiamo agganciare dappertutto, i tentacoli devono arrivare dappertutto, ci sono le condizioni per poterlo fare". Magari è gente che millanta, affila il linguaggio calabrese per intimorire, vuole imporsi. Ma non mi sembra di aver sentito molte denunce nel civilizzato Nord. Non posso arrendermi, non posso, devo vincere le mie paure. Quella resistenza che ti paralizza dentro. Cosa insegnerò ai miei figli? Il mio mentore Giuseppe Valarioti, uno dei figli migliori di questa sventurata Regione, diceva: "Se non lo facciamo noi chi lo deve fare?". L’hanno ucciso a Rosarno l’11 giugno del 1980, il giorno della vittoria dei comunisti alle amministrative. Da allora la sua storia è stata poco tramandata, vive nel ricordo di pochi. Me la raccontò Peppino Lavorato con le lacrime agli occhi. Domani denuncio tutto e il 24 giugno scendo in piazza a Polistena. Quelli di Avviso Pubblico, i tanti amministratori minacciati, i cittadini comuni saranno la mia scorta civile. Non ci avranno mai come vogliono loro: silenti e accondiscendenti!"
Alla fine di questa vita non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma credibili. Non lo vedi Gaetano Saffioti? Ha fatto arrestare diversi mafiosi, vive da dead man walking, lavora in tutto il mondo tranne che in Calabria. E poi? Eppure in campagna elettorale, le parola 'ndrangheta, bene confiscato, antimafia non hanno avuto diritto di cittadinanza. Almeno tra i miei oppositori. Eppure c'era un assessore amico di un amico, parente di un uomo con precedenti penali per 416 bis, insomma tutto sembrava filare liscio... Non devono averla pensata così Mimmo Lucano, Rosario Rocca, Salvatore Fuda, ma io non riesco proprio a fare l’eroe, lo scassaminchia. No, mi arrendo, domani mi dimetto. Prendo la via del Nord, cambio vita. Cercherò di dare un avvenire ai miei figli. Poi però penso che non è un problema solo ‘nostro’.
Leggo sui giornali queste intercettazioni: "Noi diamo una mano a tutti qui al Nord in politica, conosciamo tutti. I sindaci qui sono tutti amici nostri, li aiutiamo noi a vincere". E ancora: "Dobbiamo essere come i polipi, ci dobbiamo agganciare dappertutto, i tentacoli devono arrivare dappertutto, ci sono le condizioni per poterlo fare". Magari è gente che millanta, affila il linguaggio calabrese per intimorire, vuole imporsi. Ma non mi sembra di aver sentito molte denunce nel civilizzato Nord. Non posso arrendermi, non posso, devo vincere le mie paure. Quella resistenza che ti paralizza dentro. Cosa insegnerò ai miei figli? Il mio mentore Giuseppe Valarioti, uno dei figli migliori di questa sventurata Regione, diceva: "Se non lo facciamo noi chi lo deve fare?". L’hanno ucciso a Rosarno l’11 giugno del 1980, il giorno della vittoria dei comunisti alle amministrative. Da allora la sua storia è stata poco tramandata, vive nel ricordo di pochi. Me la raccontò Peppino Lavorato con le lacrime agli occhi. Domani denuncio tutto e il 24 giugno scendo in piazza a Polistena. Quelli di Avviso Pubblico, i tanti amministratori minacciati, i cittadini comuni saranno la mia scorta civile. Non ci avranno mai come vogliono loro: silenti e accondiscendenti!"