LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Mistero al cubo di Lou Palanca (Rubbettino)

LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Mistero al cubo di Lou Palanca (Rubbettino)

cubo

In un freddo venerdì di dicembre, a pochi giorni dal Natale, il professor De Vitis, ordinario di Diritto Penale Comparato, viene trovato morto nel suo studio all’Università di Arcavacata: nudo, la gola segnata da un filo, la pipa appena usata, gli occhiali lontani dalla scrivania.

Ad indagare sulla sua fine, il procuratore aggiunto, Angela Musso, piemontese, arrivata in Calabria per amore e poi rimastaci, dopo la separazione dal marito, più per stanchezza che per passione e il commissario Umberto Gironda, sposato, due figli, una vita familiare all’insegna di un tran tran annoiato, una vacanza natalizia a Roccaraso già prenotata da tre mesi.

Le indagini si indirizzano su due linee – delitto passionale o di mafia, per via del supporto dato dal professore ai pentiti – e investono quattro persone:

Edoardo Sansinato, che, dopo «cinque anni di università, tre anni di dottorato, un anno più uno di assegno di ricerca», è una «sorta di assistente irregolare, un precario», «in attesa di un contratto, di un posto di ricercatore, di una cosa qualunque che somigli a un futuro.»

Gianfranco Ferretti, studente fuoricorso, trenta e lode a procedura penale, grande amante di serie televisive sul crimine, piccoli precedenti penali e un’aurea di pericolosità sociale per i suoi collegamenti con l’antagonismo, l’ultima persona a incontrare il professore prima della sua morte, per discutere della tesi su «ulteriori misure di depenalizzazione auspicabili per decongestionare carceri e tribunali, con particolare riferimento al regime sanzionatorio delle droghe leggere.»

Giusy Varrà, «una giovane donna, per lo più attraente, una giovane dottoressa in diritto penale, con piercing e tatuaggi, iscritta al prossimo e imminente concorso per il dottorato di ricerca, che manteneva da un anno una relazione clandestina con il vecchio professore con cui si era laureata. (…) l’indiziata naturale di questo mistero.»

Giulio Badiani, assistente di De Vitis «il mio Maestro, l’uomo che mi prese per mano quindici anni fa e scrisse una dedica sul libro di cui mi fece omaggio – lui, già professore ordinario – al termine della prova di dottorato: E non smetta mai di cercare nel diritto il suo rovescio. Iniziò tutto da lì, la mia vita prese una torsione inaspettata e ben presto quella dedica si trasformò in una collaborazione scientifica, in una stima incondizionata, in un trasferimento da Firenze ad Arcavacata.»

Ai quattro si aggiunge anche Giampaolo Orsini, «ferrarese, da anni in attesa di un posto da ordinario, grande studioso bloccato dal turn over a singhiozzo, dai tagli dei fondi ministeriali, dai punti organico insufficienti, dai vecchi baroni che non mollano niente, una famiglia sacrificata sull’altare di una fama accademica continuamente posticipata, autore di molte pubblicazioni e pieno di risentimento per un futuro che non arriva.»

Il mistero sulla morte del professor De Vitis – «persona garbata e competente sia per quanto riguarda il diritto sostanziale che per processuale», due figli da due diverse mogli, un legame mai spento con una passione giovanile, Eleonora, finita in carcere per lotta armata – troverà una soluzione inattesa e verrà sciolto proprio dalle parole del morto.

Mistero al cubo – del collettivo Lou Palanca, ovvero scritto da Danilo Colabraro, Valerio De Nardo e Nicola Fiorita ed edito da Rubbettino – fa, infatti, parlare in prima persona tutti i protagonisti della vicenda, compreso il defunto.

Ma la vera protagonista del libro è l’Università di Arcavacata. Raccontata con i toni varianti dell’amarezza, della rabbia, della denuncia di amanti delusi. Ripetendo, con molte sfumature, che l’Università della Calabria, nonostante l’appassionato entusiasmo dei pionieri a cominciare dal primo Rettore, Beniamino Andreatta e con la complessità del suo iter (compresa la fase delle perquisizioni come possibile covo di brigatisti), è un sogno non avverato. «L’università doveva plasmare le coscienze e costruire la nuova classe dirigente ma ha generato prevalentemente palazzi, viali, bar, e, da qualche tempo, orribili centri commerciali.» «Arcavacata è un’illusione, una promessa di cambiamento stipata dentro recinti invalicabili, confinata nel suo isolamento, inutile per la Calabria e utile solo per chi tiene i cordoni della borsa. Il potere persegue i suoi obiettivi e utilizza i suoi simboli. Arcavacata ha reso ricchi i palazzinari e ha diviso il popolo dagli intellettuali, ma viene presentata ancora come il potente motore dello sviluppo in salsa calabra.» Arcavacata «è un imbroglio, partorito da menti astute, da chi voleva un Sud uguale al Nord e studenti che pensassero a stock option e multinazionali più che ad una rivoluzione mediterranea.»

«Nel luglio del 1973 l’inviato della Stampa che seguiva il processo di nascita dell’Università della Calabria», poteva scrivere che «il futuro della Calabria si chiama Arcavacata, una dolce striscia di terra gialla e verde, un nome che ha richiami di magia, c’è una Calabria che si muove e il futuro sembra quasi una favola.», ma «quarant’anni dopo l’Unical è una università normale, perfettamente allineata alla crisi dell’università italiana.»

«Quest’Università la Calabria non l’ha cambiata, pur consolidandosi come una delle eccellenze del Mezzogiorno», non è riuscita a realizzare la «grande utopia» di una nuova «città del sole»

E mentre l’intelligenza appare sempre più, nel mondo, come l’unica materia prima di cui non si possa fare a meno, «oggi di questa intelligenza restano, in Calabria come altrove, tracce labili e intermittenti. E qui, in questa regione come in questo paese, ad essere valorizzata è la furbizia, la spregiudicatezza, magari la bella presenza.»

Lou Palanca, Mistero al cubo, Rubbettino, pp. 224, euro 13, 6