L'emigrazione è un affare sterminato ed intricato con la vita emotiva di milioni di persone. In questi ultimi decenni, per rapine di ricchezze e per le guerre perpetrate dal cosiddetto Occidente in danno delle popolazioni africane e latino-americane in secoli di politica imperialista, il fenomeno si è moltiplicato in forma esponenziale coinvolgendo milioni e milioni di persone.
Inevitabili dunque i riflessi sulla letteratura che, in Italia, ha interessato soprattutto autori nati nel Mezzogiorno: basti pensare, per quanto riguarda la Calabria e a titolo di esempio, ad autori come Francesco Perri, Michele Pane, Saverio Strati, Mimmo Gangemi e Carmine Abate, che all'emigrazione hanno dedicato opere che ben figurano anche nelle antologie scolastiche.
Quasi tutti gli autori di opere che parlano di emigrazione ne hanno fatto esperienza personale, diretta o indiretta che essa sia.
A questa letteratura migratoria appartiene a pieno titolo l'opera di Salvatore Belcastro sogni di polvere (la minuscola del titolo non è un refuso) pubblicata, meritoriamente, dalla Fondazione Mario Luzi di Roma a dicembre 2018; l'autore ha titolo per scrivere sull'argomento in quanto emigrato, in quanto discendente di emigrati e in quanto proveniente da un paese, San Giovanni in Fiore nella Sila cosentina, che da quasi un secolo e mezzo ha dato i natali a diverse generazioni di emigranti, sia transoceanici che continentali; con annessi sudori, sangue e lutti.
Salvatore Belcastro, chirurgo in pensione e già professore universitario a Ferrara, ha inoltre compiuto percorsi di specializzazione e di lavoro negli Stati Uniti d'America; ha perciò avuto modo di prendere esperienza dei luoghi e della humus antropologica ove ha ambientato buona parte del suo racconto.
La trama procede a spirale: dalla partenza di Chiarina Capitano (soprannominata Capitana)che ha sposato, sul finire dell'Ottocento e per procura (pratica rimasta ancora in vigore e prevista dall'art 111 del codice civile vigente), un compaesano, Carminuccio, emigrato che lavora nelle miniere carbonifere del West Virginia, al loro rientro in Italia e alle ripartenze dei figli e dei nipoti e, buon ultimo, di un pronipote verso vecchi e nuovi luoghi di emigrazione.
Riunitisi i coniugi a Fairmont (e cresciuta che fu la famiglia con i piccoli Frank, Cata e Nunziata) Carminuccio e Chiarina fanno esperienze terribili di crudele razzismo in danno sia dei neri che degli immigrati di origine italiana o ispanica.
Sono le «polveri» del titolo, collegate all'incontro premonitore con una «magara» di paese che la Capitana aveva avuto prima di imbarcarsi per raggiungere il marito: «Polvere, figlia mia, tanta polvere … e pulcini intorno alla chioccia»(24) e che danno il titolo alla prima parte del libro, «Polvere di carbone», pp. 13 -162;
La seconda parte del libro, «Polvere di cannone polvere di ghiaccio» pp. 163-359, riprende la narrazione dal trasferimento di Carminuccio e Chiarina a Pittsburgh, in Pensylvania, successivamente al disastro del sei dicembre 1907, con centinaia di lavoratori rimasti sepolti per sempre nei cunicoli della miniera.
Vennero poi, ad ulteriore complemento negativo di quelle infelici vicende, le malattie polmonari di Carminuccio e del piccolo Frank: conseguenza delle polveri del carbon fossile che si infiltravano negli alveoli di chi lavorava in miniera e di chi abitava nei borghi prossimi alle attività minerarie.
A quel punto i coniugi decidono di rimpatriare dove vivono con dignità e modestia la loro condizione di ex emigrati mentre l'Italia sprofonda prima nella Grande Guerra («la polvere di cannone» ) e poi nella dittatura fascista che a San Pellegrino – San Giovanni in Fiore si apre con la strage fascista: « … in piazza c'era stata una battaglia, la milizia aveva sparato sulla folla e si diceva che ci fossero cinque o sei morti, qualcuno anche di più, e tanti, tanti feriti»(p. 191).
Qualche tempo dopo la strage muoiono i genitori di Chiarina e quindi danti causa di questa saga, Caterina e Giovanni, e Francesco-Frank, primo figlio della Capitana e poco più che ventenne, emigra in America.
Inizia così in America la seconda odissea migratoria della seconda generazione mentre Carminuccio cade in depressione sia per l'emigrazione inaspettata del figlio che per il riacutizzarsi dei suoi problemi polmonari: «Nonostante le medicine, gli impiastri e i cataplasmi, la febbre non diminuiva. Una sera Carminuccio rimase immobile a bocca aperta, gli occhi sgranati verso il vuoto. La febbre l'aveva divorato in una settimana. Aveva Sessant'anni,» (p. 200).
Il tempo che Cata e Nunziata sposino e siamo già nella seconda guerra mondiale da cui riescono a sopravvivere i loro due giovani mariti.
Non sopravvive invece alle condizioni di lavoro post-belliche il marito di Nunziata, Pippo, che muore per malattia fulminante contratta in itinere del lavoro di edile: «… scampato alle bombe, è morto di polmonite»(p.213).
Rimanevano, di quest'ultima vicenda matrimoniale, due figli: Carmine detto Minuzzo e Chiarina Junior che, assieme alla madre, saranno protagonisti dei un altro «anello» di questa spirale migratoria che, questa volta, si sviluppa nel luogo più classico dell'emigrazione meridionale novecentesca: la Svizzera.
Prima di parlare di questo del «sequel» svizzero della nostra storia, che si sviluppa dal capitolo XX (p. 224) in avanti, l'autore inserisce un ricordo della tragedia nella miniera di carbone di Marcinelle (Belgio, 8 agosto 1956, 262 morti), nella quale perirono 136 lavoratori italiani in Belgio e, tra essi, tanta parte veniva proprio da San Pellegrino-San Giovanni in Fiore.
Dopo la morte improvvisa di Chiarina Capitano (p. 225) emigrano in Svizzera prima la nipote omonima e poi anche Nunziata e Minuzzo; tutti trovano lavoro a Locarno e dintorni ma in condizioni di sfruttamento intensivo e di spaventosa insicurezza.
Per fortuna i due giovani, lato positivo della vicenda, si legano sentimentalmente ad altri lavoratori italiani e soltanto il caso aiuta Minuzzo a non essere coinvolto nella tragedia di Mattmark, 30 agosto 1965: un costone di ghiaccio travolse un cantiere edile uccidendo 88 persone di cui 56 italiani; anche in questo caso San Pellegrino- San Giovanni in Fiore aveva pagato il suo pegno di vite umane.
Da Minuzzo e da Adelina nasce Filippo che, ultimo protagonista di questa saga emigratoria, fa studi di geometra e va negli stati Uniti in un viaggio regalo per la sua maturità: qui rintraccia la famiglia dello zio Frank, morto nel 1978 a Fairmont lì dov'era nato nel 1899, ed incontra il di lui figlio Raphael.
Al ritorno in Italia riporta ai genitori il sentimento di desolazione ambientale (la miniera abbandonata) e il permanere dei problemi che avevano assillato i bisnonni: «Papà, il razzismo in America è forte, palese o nascosto» (p. 307).
Filippo poi, a vent'anni, riparte per la Svizzera dove sembra accanto al vecchio razzismo si sarebbe sommato la criminalità calabrese in funzione di supporto alle finanze non fiorenti di alcuni imprenditori.
Una conclusione questa che, a differenza di tutte le pagine precedenti, appare politically correct ma molto inverosimile.
Complessivamente il romanzo appare ben impostato dal punto di vista diegetico e, nonostante il succedersi e l'intreccio delle generazioni di protagonisti, nessuna fatica supplementare deve fare il lettore per mantenere il filo che lega gli avvenimenti narrati nelle diverse parti.
La lingua usata da Belcastro è un italiano maturo, di alto livello, che non ha bisogno di esibire alcuna affettazione; gli anglismi esistenti nella prima parte sono essenziali e tradotti contestualmente.
Pregevoli risultano gli scarni riferimenti storici sugli Stati Uniti e sull'emigrazioni italiana in Europa; di talché anche un lettore non molto scolarizzato trova le informazioni indispensabili per collocare la storia narrata e per seguirne la diacronia.
Chiudiamo con due annotazioni: 1) Belcastro non rinuncia a veicolare il suo «giudizio morale» su ogni avvenimento che racconta ed ha una «sua» maturità narrativa che gli permette di evitare lo scoglio dello «psicologismo» che inficia tanta parte della narrativa contemporanea; 2) maturità che genera anche un'altra qualità del libro: la narrazione degli avvenimenti avviene senza che lo scrittore dichiari in modo plateale la sua «indignazione» per le devastanti ingiustizie che il «modo di produzione» capitalistico semina lungo la sua storia; ma quell'indignazione emerge sistematicamente dai fatti narrati e il lettore non fa fatica a «prendere la posizione giusta».
Un libro quindi che senza invettiva alcuna veicola in modo piano ed indiretto il suo messaggio; e l'autore alla fine si rivela «olimpico» e razionale ma molto caratterizzato politicamente.
*Salvatore Belcastro, sogni di polvere, Roma; Fondazione Mario Luzi MMXVIII