La Calabria ha dovuto confrontarsi con il marchio di "terra maledetta" fin da quando la sua gente oppose la propria radicata grecità alla latinizzazione forzata; forse per questo i calabresi faticano ancora oggi più di altri nell'indagare, apprezzare e difendere la propria identità. Se poi la nostra terra viene raccontata da altri, gli stereotipi sono all'ordine del giorno: dalla 'nduja - che personalmente aborrisco! - all'onnipresenza della tarantella - che invece adoro!
Anche se quest'ultima sta facendo conoscere le nostre tradizioni musicali in Italia e nel mondo, siamo ancora ben lontani dai Sardi che custodiscono, come una preziosissima eredità, tutto il loro patrimonio musicale tradizionale, dal cui sostrato culturale sono fioriti artisti del calibro di Piero Marras, Maria Giovanna Cerchi, Elena Ledda ed il compianto Andrea Parodi. Siamo anche distanti dal Salento che ha fatto della grecità il suo tratto identitario più marcato e che ha regalato al mondo autori del livello di Franco Corlianò ed interpreti come i Ghetonia e Ninfa Giannuzzi.
Poi, però, accade che questa visione venga improvvisamente ribaltata - addirittura sconvolta! - da un allround talent come Ettore Castagna, calabrese originario di Catanzaro, che dopo averci stupito come attento ed appassionato narratore delle nostre radici, si presenta ora nella veste di raffinatissimo cantautore, col suo "EREMIA" .
Edito da Alfa Music, il CD contiene undici brani, da "Middalo pricio", con gli splendidi versi "Middalo pricio ene to chumama/ ena mmeli ti thorume stin imera" (La nostra terra è una mandorla dolce/ un miele che ritroviamo nel giorno), a "Riace", in cui appare una foto nel portafoglio che mostra "gente antica in campagna" - una qualche campagna di questo Pianeta, dove "il sangue è sempre rosso".
La bellissima "Eremia", poi, tratteggia un delicato impasto di paesaggi dell'anima frammisti a rimpianto, nostalgia, ingiustizie subite, in cui l'amore per la Natura e la fede trasformano il dolore in paziente attesa ed in saggezza levigata dal tempo.
Il brano finale, "Dimenticanza", rende con grande lirismo la fine di un mondo; esso inizia con con uno struggente canto della mietitura sul quale s'innesta, impellente, l'incontenibile spinta alla fuga, per allontanarsi dal bisogno, dalla fatica, e per sfuggire ogni ricordo, nella speranza di cancellare un'amara sconfitta di cui ci si sente gli unici responsabili.
Attraverso un paziente lavoro di cesello, Ettore Castagna ha intessuto lingue, voci, strumenti e "fratelli musicali"- come li chiama lui stesso - regalandoci un piccolo, grande capolavoro.
Da quando l'ho acquistato, lo ascolto in continuazione, una cosa che finora avevo fatto solo con "Amazing game" di Paolo Conte. Pur essendo molto diverse fra di loro, le due opere denotano la profonda sensibilità dei rispettivi autori, due uomini che aprono timidamente la porta della loro anima a degli amici ed a cui ci si accosta con grande delicatezza per il timore di essere invadenti, di tradire la fiducia accordata.
Personalmente sono molto grata ad Ettore Castagna per averci indicato, ancora una volta, una via da percorrere, sia come individui sia come collettività. Il coraggio necessario ai calabresi per disseppellire la loro dignità di popolo ed eliminare - pazientemente e caparbiamente - le incrostazioni accumulate nel tempo, ha bisogno del fattivo sostegno degli intellettuali.
In tal senso, questo lavoro rappresenta una pietra (una pietruzza) miliare lungo il nostro cammino destinato a farsi sempre più eretto, ma solo se crederemo in noi stessi, nella nostra storia, nella nostra identità, in tutto quello che ci fa uomini e donne degni di una terra tanto silente e bella, quanto generosa e paziente!