E’ bastato proporre sulla mia pagina fb una fotografia in bianco e nero di poco meno di un secolo fa per scatenare un putiferio.
Oltre settecento ‘mi piace’ e quasi cinquecento condivisioni, commenti senza risparmio e pochissimi di cortesia o di rito, la maggior parte dedicata ad aggiungere testimonianze evocate dalla immagine, ad augurare che quella stagione ritorni.
È noto, ovviamente, che, checchè se ne dica, i social sono uno specchio parziale e distorto della realtà, una realtà peraltro ondivaga, sfuggente, non definibile: senza unirmi al coro che vorrebbe attribuire a fb et similia tutte le nefandezze possibili mi attesterò sul crinale di chi lo ritiene un campione, di volta in volta cangiante, di una popolazione statistica dalle dimensioni estesissime.
Perché ne scrivo, qui, perché il fatto mi ha colpito, quali sensazioni e valutazioni ne ho tratto? La foto riporta la condotta forzata che scende da un lago silano verso lo Jonio, incontro a una centrale idroelettrica. Uno schema idrico che fa parte del complesso di opere volute dall’ingegnere milanese Angelo Omodeo, professione costruttore di dighe, per munire la Calabria, il Mezzogiorno, il Paese tutto di un lotto di opzioni praticabili insieme: energia, irrigazione, bonifica, difesa dalle alluvioni, ricreazione. Si mobilitarono tecnocrati lombardi, banche, il governo nazionale, e poi ministri del ventennio, con la presenza, all’inaugurazione, di Guglielmo Marconi e della famiglia reale. Pasquale Poerio, poi parlamentare comunista e in prima fila sempre per la terra ai contadini, ha lasciato vivide testimonianze scritte.
E nelle righe che accompagnano l’immagine sono sunteggiati dati tecnici e caratteristiche idrauliche unite a squarci di colore popolare e valenza storica.
C’è, in chi ha commentato, il ricordo trasmesso da avi e vecchi album, c’è uno scontato effetto scia, che sui social è più che scontato, ma quello che ho colto o forse ho voluto cogliere è l’amore o il desiderio per una Calabria ‘altra’, per un’Italia in cui c’eravamo pure noi, non con il cappello in mano, non più alla terra e alle ataviche ascendenze ancorati ma proiettati verso la modernità.
Un desiderio che rimanda all’impostazione culturale e politica di Adriano Olivetti e Leonardo Sinisgalli, così come Giuseppe Lupo ha di recente ricordato: quella non del rimpianto e del mito arcaico ma dell’industria e della modernità.
La grande idea di Angelo Omodeo divenne solo in parte realtà: pagò pegno ai freni opposti dai latifondisti del crotonese, e non solo.
Ritornare a quella visione, ‘dialogare’ con Lupo, Sinisgalli, Olivetti, mi pare una buona strada.
In centinaia sembrano crederci: troppo pochi?
Sono, ricordiamolo, solo sul web.