Lunedì 18 un dibattito sul libro di Fulvio Mazza
Chi ha i capelli bianchi probabilmente ricorderà il clamoroso scoop di Paese Sera che il 17 marzo del 1971 denunciava il tentativo di Golpe guidato dal principe Junior Valerio Borghese avvenuto la vigilia dell’Immacolata dell’anno prima. Mezzo secolo dopo ne sappiamo molto di più. Soprattutto grazie ad un libro scritto dal calabrese Fulvio Mazza.
Lunedì 18 luglio alle 18 nella Villa comunale di Crotone si presenta la nuova edizione de “Il golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La laedership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della «Dottrina Maletti»”. La discussione, moderata da Fabio Riganello, prevede gli interventi di Vittorio Emanuele Esposito e Pino Fabiano e le conclusioni dell’autore che illustrerà le non poche novità emerse negli ultimi tempi.
Una pubblicazione chiave nel ricostruire questi contesti, quella dello scrittore Fulvio Mazza, che in occasione del mezzo secolo del golpe, ha curato una seconda edizione del prezioso libro. Una sorta di vera Bibbia su quel mancato colpo di Stato che si avvale di documentazione archivistica spesso inedita proveniente dal Sid e da diverse Commissioni parlamentari d’indagine.
Un libro dotato di una cronologia dei fatti minuziosa, di schede e documenti di non poco conto. Nella nuova edizione Mazza aggiunge particolari inquietanti sulla morte del comandante Borghese (ne paventa il probabile omicidio) e sul fatto che il Pci, appreso del golpe, preferì addormentare la protesta preoccupandosi “solo” tre mesi dopo di provocare il clamoroso scoop di Paese Sera prima citato.
Mazza offre inedite verità storiche inquietanti. Ipotizza su dati di fatto che Andreotti era a conoscenza del golpe ed era pronto ad assumere la guida del governo con l’avallo degli Stati Uniti. Per questo motivo viene indicato come probabile autore del celebre contrordine che ferma il colpo di Stato nel dicembre del 1970, ma senza certezze assolute considerato che i dati in campo indicano come autore della celebre telefonata a Borghese anche Licio Gelli.
Su un punto Mazza non ha incertezze. L’inchiesta del Sid sul Golpe, che è strettamente collegata alla stagione delle bombe, è stata frenata dai depistaggi del generale Gian Adelio Maletti, capo del reparto D del Sid che in stretta sintonia con Giulio Andreotti avrebbe depurato molti contenuti sconvenienti e scabrosi dei diversi dossier del Sid mandati alla magistratura. E’ quella che Mazza definisce “la dottrina Maletti”.
Va ricordato che nel 1993 in piena Tangentopoli il capitano Labruna, forse per riabilitarsi, consegna una borsa di pelle piena di bobine che svelano scenari giudiziari e storici inediti nelle deviazioni del Sid sul golpe di Junior Valerio Borghese e che mostrano anche le responsabilità di Licio Gelli capo della P2 e del senatore a vita Giulio Andreotti. Elementi ben raccontati e spiegati dal libro di Fulvio Mazza.
Lo scorso mese di giugno dopo un vulcanico dibattito sul libro edito da Pellegrini a Palazzo Madama con Fulvio Mazza, il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, ha dichiarato: “In base agli studi e alle ricerche sul Golpe Borghese credo che sia opportuno valutare la possibilità di revoca, sebbene post mortem, del titolo di senatore a vita a Giulio Andreotti.
Questo perché dalle fonti storiche, documentali e testimoniali emerge che in quel contesto eversivo Andreotti non avrebbe affatto difeso la Costituzione accettando di fatto la possibilità di guidare l’esecutivo nato dal tentativo insurrezionale guidato da Junio Valerio Borghese”. La posizione di Morra ha un rumoroso precedente anche se per questioni diverse.
Quello del marzo 1997, quando Nando Dalla Chiesa, deputato dell’Ulivo, figlio del generale Carlo Alberto ucciso dalla mafia, con una lettera chiese al presidente della Repubblica di revocare ad Andreotti la carica di senatore a vita chiedendo quali mai fossero stati i suoi meriti per ricevere tanto omaggio repubblicano. La lettera fu ignorata dalle istituzioni.
Tornando al lavoro di Fulvio Mazza, dobbiamo riferire che ha anche ricevuto un timbro importante di attendibilità fornita dal giudizio che ne ha dato Guido Salvini, uno dei magistrati che meglio ha disarticolato le tenebre della strategia della tensione, il quale ha scritto: “Questo libro fornisce una risposta ragionata a tutti gli interrogativi posti negli avvenimenti del 7-8 dicembre 1970”.
Mi si permetta di aggiungere che lavorando ad un libro su Giacomo Mancini ho trattato di striscio le complesse vicende della guerra civile a bassa intensità italiana, che videro lo statista calabrese vigile custode delle innumerevoli deviazioni dei nostri servizi segreti in combutta con la destra eversiva.
Memore anche di qualche conversazione privata con Mancini, purtroppo poco approfondita, ho posto in accenno il sostegno che il parlamentare socialista diede proprio a Gian Adelio Maletti, morto centenario, latitante dorato in Sudafrica.
Nel limitato riferimento al mio libro “Giacomo Mancini, un avvocato del Sud” sintetizzo in questo modo la vicenda: “il politico libertario è con Andreotti, quando defenestra il generale Vito Miceli, capo del Sid e si schiera con il generale Gian Adelio Maletti che ha sempre considerato fedele e affidabile sulle questioni della strategia della tensione, mentre avversa l’ammiraglio Henke, ritenuto capo delle maggiori deviazioni”.
Mancini dava piena fiducia a Maletti e pensava tutto il male possibile di Antonio Labruna, capitano dei carabinieri in forza al Sid, il quale al pari di Maletti resterà impigliato nelle inchieste giudiziarie iniziate a Catanzaro che videro finire in carcere i due alti ufficiali.
Abbiamo riscontro su questo schema grazie alla recente pubblicazione da parte di Mursia di un voluminoso Memoriale postumo di Gian Adelio Maletti, recante l’esemplificativo sottotitolo “Non solo piazza Fontana”. Il Memoriale Maletti è una testimonianza di parte di un generale che con dovizia di particolari ci fa comprendere come il capo del servizio della Difesa fosse dotato di enorme cultura e capace analisi descrittiva delle persone incontrate che tratteggia anche con buona scrittura.
Ovviamente il generale si ritiene una vittima di quanto accaduto tra condanne e latitanza. Nel Memoriale, Maletti, non manca di scrivere di non aver ricevuto sulla sua vicenda alcuna solidarietà dagli uomini politici, compreso Andreotti, di cui apprezza “intelligenza, cultura, maestria politica, l’astuzia. Non l’animo, né la rettitudine”. Fanno invece “onorevole eccezione” Francesco Cossiga e Giacomo Mancini.
Perché Mancini è convinto della fedeltà repubblicana di Maletti?
Il generale che arriva al servizio dopo le bombe, sarà anche un tesserato della P2 di Gelli (sostiene di averla ricevuto in regalo) e anche d’idee destrorse come si ravvisa nel Memoriale quando indica il giudice Gerardo D’Ambrosio deputato del Pci, tradendo un errore freudiano, essendo stato il magistrato eletto nel Pd.
Vi confesso che non sono riuscito a svelare questo arcano intricato che giro ai conferenzieri di Crotone del libro di Fulvio Mazza.