La polvere sotto il tappeto

La polvere sotto il tappeto
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La polvere. La polvere di un tempo. Quella dei viottoli. Degli sterrati. Delle rare rotabili. A volte candida. Altre frammista ai “cacaròcciuli” che le capre lasciavano durante il cammino, oppure a qualche “guina” scodellata da una mucca che alzava la coda e… splat! faceva cadere alcune porzioni di sterco fumante che si sarebbe asciugato al sole, restituendo le fibre vegetali alla terra. Ogni tanto si vedevano anche degli “cciotti” lasciati dai cani che custodivano le greggi.

Nessuno aveva insegnato ai bambini a provare ribrezzo per queste cose, mentre invece li si terrorizzava letteralmente con gli “scrami”, gli scheletri dei serpenti calcinati dal sole. Guai a calpestarli: erano velenosissimi! Almeno così dicevano gli adulti, che raccomandavano di tenere i piedi sempre calzati. Ma chi ubbidiva? Era tanto bello, d’estate, muoversi scalzi per i sentieri o sul letto asciutto della fiumara! Salvo poi ferirsi i piedi - di solito gli alluci - e portare a casa un misto di pelle sbucciata, polvere e sangue. Che non sfuggiva agli occhi dei grandi. E portava sempre guai. Ma non schiaffi, pugni, botte. Creavano danno, predicava qualche anziana. Invece, una bella “virga” di ginestra era il mezzo educativo più adatto. Bruciava, la maledetta “gatta a nove code”, e lasciava dei segni rossi che prudevano a lungo. Ma non faceva “rottura”, appunto.

Col tempo, la mancata riforma agraria favorì lo spopolamento delle campagne. La gente emigrò verso le Americhe, poi nell’Europa ricca ed infine nei paesi sulle colline e lungo la costa.
La polvere rimase sola. Come le fiumare, le fonti, i campi, le querce.
Ora c’era il selciato. E l’asfalto. Le scuole. Il lavoro diverso, meno contadini, più operai. Ed impiegati, laureati. Ma ancora emigrati.
Intanto, la politica aveva infettato tutto.
E sui monti “villeggiavano” a caro prezzo vari cittadini del nord.

Fu uno scandalo. Un marchio a fuoco. Ed una marea di denaro. Investito in mattoni. Poi in polvere. Quell’altra polvere. Quella che rende miliardi e… miliardari! Denaro che circola incontrollato e viene distribuito ancora come nel Medioevo, la cui piramide feudale si è conservata intatta nei secoli.

Le caste, impermeabili. Il ricatto, eternamente uguale a se stesso. Però largamente accettato. Anche perché ormai il potere non si esercita in modo dittatoriale, ma seguendo il motto del vecchio contadino che raccomandava: “No’ troppu amaru ‘u ti sputanu e no’ troppu duci ‘u ti sucanu.”

Il vassallo proclama la sua amicizia col padrone. Che non porta più questo nome, anche se continua ad esercitare la sua funzione di sempre.

Nessuno si ribella. Tra una vita dietro una “murra” di capre - spesso di proprietà altrui - ed un’attività che permette tre pasti al giorno, un’auto e le tende in salotto non c’è da riflettere a lungo. Si accetta tutto. I giovani ancora prima degli anziani. Sempre pronti a recitare “slogans” come giaculatorie. Sempre più „cerchiobottisti”. D’altra parte, non tutti possono emigrare, vero?

Ora si scopre la Cultura. Non necessariamente in quanto tale, ma a volte usata come il profumo nel Medioevo. O come ulteriore fonte di denaro.

Nessuna critica. Nessuna analisi della realtà. Nessun sostanziale progetto di cambiamento.
Solo tentativi artistici di accumulare polvere sotto il tappeto?
Il tutto accade, purtroppo, con la complicità di tutti coloro che - per ignoranza? pressappochismo? “pecorellagine”? - affossano ogni tentativo di riscatto. Vedono le bellezze naturali, la bontà del cibo, la cordialità della gente e lasciano scivolare sotto il tappeto il malessere, il cancro, i suoi danni.

C’è un’istintiva tendenza ad imitare le tre scimmiette. Nessuno vede, sente, parla. Né in loco. Né fuori.
E così, nell’attesa di diventare la “Montecarlo-Due” del Mediterraneo, in questa terra si consuma un ulteriore, atroce inganno.