… all’alba dell’1 luglio dell’anno XXII, altrimenti detto 1934.
De Giovanni ci proietta subito nel centro dell’era fascista. Quando ancora il disastro immane della guerra mondiale non era avviato. Quando ancora le leggi razziali non erano state emanate. Il racconto si svolge pochi anni dopo “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” di Gadda, e continua ad indagare il Ventennio con gli occhi di un funzionario di polizia, qui il Commissario Ricciardi e Napoli, nel pasticciaccio il Commissario Ingravallo e Roma. Ricciardi è cilentano, Ingravallo è molisano.
De Giovanni ci presenta uno spaccato della realtà napoletana, da quella dei bassi alla aristocrazia, e poi va oltre, ci fa vedere con i loro occhi il fascismo ruspante.
Ora non si nascondevano più, Bruno (Modo, nda) aveva ragione. Ora si spariva in piena notte, e l’indomani non rimaneva traccia di chi era stato portato via. E tutti facevano finta di niente, continuando a vivere come se nulla fosse. Curandosi di far si che nessuno pensasse che si era stati amici, fratelli, compagni di chi era scomparso nel buio…
Viene ricostruito piano piano l’ambiente degli anni ’30 del secolo scorso, quello così poco indagato dalla storiografia ufficiale, quello in cui sono presenti tutti i comportamenti suscitati e sostenuti dai fascisti. Evidenziando anche l’esistenza di italiani che non hanno aspettato l’8 Settembre, per parlare di libertà e democrazia. E per riflesso, implicitamente, si può pensare agli italiani di oggi per i quali “Bella ciao”, cantata nella resistenza da tutti i partigiani, dai monarchici ai comunisti, dai democristiani agli azionisti, è una canzone di parte.
(Bruno, nda) Modo rise, tirandosi il cappello all’indietro e scoprendo la fronte attraversata dal candido ciuffo di capelli.
- Ripeti con me, non è difficile: io sono an-ti-fa-sci-sta. Una parola come tante, composta, quindi forse meno semplice di altre, come chessò:” vigliacco”, oppure “traditore”, ma pur sempre comprensibile. Mi sorprende che un medico della tua caratura non riesca a pronunciarla.
- Zitto, per carità! Ma non ti rendi conto di come stanno le cose? Non capisci che gli informatori sono centinaia, se non migliaia, che sono dovunque e ascoltano tutto? Vuoi che ci sbattano in galera, o che addirittura ci ammazzino?
De Giovanni ci racconta la paura anche di pronunziare la sola parola antifascista. Non di comportarsi di conseguenza, ma solo di pronunciare la parola.
(Il Commissario Ricciardi, nda) Non si sentiva di essere ottimista. Aveva preso atto di una cosa di cui prima non aveva contezza: la paura che il popolo aveva della polizia politica. Almeno in apparenza, la città si era tenuta ai margini del trionfalismo nazionale; non si percepiva – o cosi gli era parso fino ad allora- la violenza liberticida che lamentava Bruno, e nemmeno il murmure di forze d’opposizione decise a tutto. Nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, insomma, la politica restava ai margini: non sosteneva e non limitava.
Sotto la superficie dove si era colpevolmente fermato, vibrava invece una sofferenza di altro segno. Gli informatori erano tanti, più di quanto fosse lecito immaginare, e spesso si concedevano il piacere di condurre processi sommari anche per i regolamenti di conti personali. Non serviva produrre prove: bastava riferire parole o dialoghi che magari non erano mai avvenuti, per rovinare un commerciante rivale o un impiegato sospettati di infedeltà coniugale.
“Il pianto dell’alba” è il romanzo chiave dei vari romanzi ad oggi usciti con protagonista il Commissario Ricciardi, è il romanzo di svolta nella vita del Commissario. Cosi come per Lojacono è importante leggere il primo che è quasi un prequel, per Ricciardi si può leggere l’ultimo.
La capacità di Ricciardi di percepire il male, lo porta sui bordi dell’abisso e le sue capacità di indagine gli fanno affrontare tutte le barriere che il sistema politico gli pone.
È stata tratta una serie televisiva, chi non l’ha vista può ben leggere il romanzo senza distrazioni. Senza sopravvalutazioni e sottovalutazioni di aspetti che necessariamente la serie televisiva deve fare, in maniera più o meno decisa a tavolino.
Questi pochi giorni che ci distanziano dal voto, il silenzio sui sondaggi già in vigore, il silenzio della campagna elettorale che scatta venerdì notte ci permettono di allontanarci per un attimo dal nostro hic et nunc, e si può pensare ad un’altra realtà e ad un altro tempo.
*Università di Reggio Calabria