Ne L’atomo inquieto, appena edito da Solferino, Mimmo Gangemi raccoglie alcune di queste ipotesi, le rielabora e crea un’unica storia in cui lo scienziato Majorana, uno degli straordinari ragazzi di via Panisperna riuniti intorno a Enrico Fermi, interpreta più personaggi: «un professore, un frate, un tubercoloso, uno scienziato, un fuggiasco, un latitante, il barbone di adesso.»
«Ognuno ha avuto una sua storia, distante, indipendente. Ettore Majorana era un disadattato che fuggiva da se
stesso. Carlo Ferretti, un disperato che si affidava all’inganno dell’estremo rimedio. Martino Sereni, un camuffamento per sottrarsi agli americani e agli inglesi e per non tarare la famiglia con una malattia intrisa di pregiudizio. Karl Weitner era un fuoco di passione scientifica, competeva con Enrico Fermi, collaborava con i grandi fisici tedeschi, parteggiava per la Germania. (…) Andreas Blankenhorn è occorso per scappare e per occultare Karl Weitner – che a sua volta occultava Majorana – ricercato in quanto criminale di guerra, lui ad aver percorso l’esistenza più breve, e più da giramondo, se ha attraversato l’Atlantico ed è finito in Argentina. Andrès Bini, non so, intanto è ai primi vagiti e va a nascondersi dai nazisti che pur ha abbracciato.» Fino a raggiungere «un equilibrio che somigliava a pace (…) il barbone ha saputo viverlo il suo tempo breve, estraniarsi al mondo, non dargli ascolto, non avvertirne i latrati.»
In un ininterrotto flusso di coscienza, ne L’atomo inquieto, Majorana ripercorre, negli ultimi giorni della sua esistenza, collocata nel luglio 1960 in una località del Medio Jonio calabrese, le sue sette vite. Segnate, tutte, dalla dicotomia tra la genialità delle sue intuizioni matematiche e la difficoltà di orientarsi con buon senso nelle scelte che non comporterebbero particolari patemi in persone molto meno dotate. Sempre alle prese con una tormentante voce interiore, la “creatura”, che gli rinfaccia limiti ed errori, e lo pungola a furia di dargli dello “scemo” – “scemo di un Torè” – ad assumere atteggiamenti che meno lo espongano a difficoltà relazionali. Tendenzialmente portato più che alla solitudine all’isolamento, non per senso di superiorità ma per eccesso di timidezza; con una sensibilità non priva di tratti nevrotici e avvertita con timore come interpretabile non sufficientemente virile. Che ha trovato un relativo equilibrio solo nell’incontro con due donne, Herta e Morena, che, in maniera diversa, lo hanno compreso e amato e ottenuto pace solo quando della sua prima identità non è rimasta traccia.
Genio matematico, rilevatosi tale fin da piccolo, Ettore Majorana brucia di infuocata passione nel corpo a corpo con i numeri sempre alle prese con catalogazioni che restituiscano la perfezione formale e la bellezza estetica delle simmetrie. Ma non trova felicità nell’altissimo livello intellettuale che lo porta a collaborare – in parte per una certa ambiguità nei confronti del regime nazista e molto per gareggiare contro Fermi che sta facendo la stessa cosa in America – alla ricerca di un ordigno che potrebbe segnare la fine dell’umanità.
Nel momento più lieto della sua esistenza, quando Herta sta aspettando un bambino, i due desiderano un figlio ignorante: «“A chi somiglia, somiglia. Non sarà importante. Conta invece che sia più ignorante di una capra. Non dovrà essere capace di una moltiplicazione. Intelligente e però ignorante. Se lo bocceranno a scuola, meglio,
festeggeremo. Così non farà la vita che è toccata a te, e in parte a me” dice Hertha. “Non farà lo scienziato. Studierà altro. Musica sarebbe perfetto, il pianoforte. E che tu abbia scelto Cecilie, se nasce femmina, già significa, sa di predestinazione.” “Giusto, tutto tranne che lo scienziato.” “È un lavoro sporco” convengo. “Meglio medico.” “Sì, medico. Mi piacerebbe che fosse lui medico a cogliere il mio ultimo battito.”»
Libro denso, di scrittura solida e di fluida lettura, L’atomo inquieto segna un punto importante nella produzione di Gangemi, grande narratore della nostra storia in epopee quali La signora di Ellis Island e Il popolo di mezzo. Trama corposa; accurata ricostruzione di un tempo contrassegnato dalle atrocità naziste, con annesse complicità, ambiguità e anche ingenuità di diverso livello; perfetto dominio del caleidoscopio di concatenate, credibili, possibilità di vite successive alla scomparsa del protagonista; riconoscibili stile e lessico “gangemiano”. Una storia intensa e coinvolgente, in qualche modo un libro di avventure – quelle dei diversi travestimenti di Majorana: tanti personaggi dello stesso attore/autore – che diventa la grande avventura di uno spirito che non ha mai tregua.
L’atomo inquieto – titolo particolarmente azzeccato – riporta l’attenzione su una delle più fascinose figure del nostro Novecento, che ha già ispirato altri autori, non ultimo Leonardo Sciascia, riproponendo anche il tema, sempre più attuale, non solo del valore intrinseco della scienza ma dei dilemmi etici che si aprono quando dalla ricerca astratta si passa alle pratiche applicazioni.
Un libro, se vale, vale per se stesso e basta a se stesso. E, questo, lo vale. Ma, più che in altri casi, sarebbe bello vedere, a cinema, questa straordinaria “avventura di un povero scienziato”: che, degli atomi, ha intravvisto ciò che solo decine e decine di anni dopo si è cominciato a scoprire, e che, forse proprio per questo o nonostante questo, ha avuto un difficile rapporto col suo “destino”: da predestinato al successo, al podio dei vincitori, al Nobel a portata di mano all’intima necessità di fuggire sempre, di nascondersi, di perdersi per ritrovarsi.
Mimmo Gangemi, L’atomo inquieto, Solferino editore, pp.311, euro 18,50 (da oggi 11 novembre 2022 in libreria)