finite. Sono finite. E se sono finite non esistono più. (...) Me ne stavo seduto sul balcone di casa con
la collina friabile di fronte. Che non riusciva a scivolare e rileggevo quello che stavo scrivendo.
L’idea l’avevo presa dall’Apocalisse di Giovanni. Le cose di prima sono finite. E ora che le vedo a
così tanti anni di distanza penso che Giovanni abbia ragione. Sono finite sul serio. Hanno lasciato la
loro ombra sui letti e nell’aria delle stanze, ma sono finite, sono andate altrove, hanno preso come
una grande onda che li ha portati dove non c’è più cielo, ma solo lunghi pomeriggi di bassa estate.»
Inizia così Le cose di prima del cosentino Giuseppe Aloe, edito da Rubbettino, facendo supporre al
lettore che il trauma subito dal narratore a tredici anni, quando la tranquilla «storia di noi tre. Due
genitori e un figlio» si infrange, abbia trovato poi una risoluzione in età adulta, grazie alla scrittura e
alle attenzioni di un’esuberante compagna. Oppure, facendogli ipotizzare che, alla fine, tutto si
ribalterà perché è solo un’illusione pensare che le cose di prima possano annullarsi, smettendo di
vincolare nel profondo presente e futuro, sui quali continueranno piuttosto a gettare ombre sinistre.
Il lettore, gradevolmente immerso – dalla rabdomantica, raffinata scrittura di Aloe, sempre sospesa
tra il realistico e l’onirico – in una vicenda anche urticante vorrebbe, magari, qualche spiegazione in
più sull’agire, se non irrealistico decisamente poco abituale, del padre e della madre del narratore: e
pensa, leggendo avidamente il testo, che nello sciogliersi dell’enigma dei loro comportamenti ci sarà un momento di svolta nella ricaduta sul figlio delle cose di prima.
Invece, a spiazzare il lettore, arriva una rivelazione finale che fa saltare il banco, inserendo le vicende narrate ne Le cose di prima in quella tensione tra realtà e finzione che è elemento centrale della narrativa, della sua sorprendente verità. Che poco a che fare ha con la veridicità dei fatti e molto con lo stile del racconto.
Ogni opera di finzione esige che autore e lettore la considerino reale, ogni personaggio di carta, quando ben delineato, ha una concretezza animo-corporale che non sempre è così evidente nella persona che ci siede accanto. Per questo, chi crea ha molte domande senza, talora, altrettante risposte.
C’è una realtà più reale della finzione? La finzione può essere più vera della realtà? Quando la
finzione è mera falsificazione?
Giuseppe Aloe Le cose di prima, Rubbettino, pp.208, euro 19.