Il libro Saverio Strati. Scrittore di romanzi, pubblicato di recente per i tipi di Città del sole edizioni di Reggio Calabria, è l’ultima fatica letteraria di Giuseppe Tripodi, un percorso ragionato nella vita, nelle opere, nel pensiero di Saverio Strati, nato a Sant’Agata del Bianco (RC) nel 1924 e morto a Scandicci (FI) nel 2014.
Un contadino e un muratore Strati, che decide di studiare diventando uno dei maggiori scrittori calabresi, dalla forte e intensa carica narrativa, e dalla grande tensione civile e morale.
Questo non gli ha risparmiato di vivere gli ultimi anni di vita in una condizione economica difficile, e soltanto grazie a una diffusa solidarietà che gli venne riconosciuto il sussidio della cosiddetta legge Bacchelli.
In Toscana Strati ha vissuto oltre 50 anni della sua vita, ma dalla Calabria è come se non fosse mai partito. La sua scrittura ha avuto sempre al centro la Calabria, negli aspetti sociologici, antropologici, con le sue problematiche ancestrali, le sofferenze, il duro lavoro nei campi.
Anche l’universo ’ndranghetista ritorna nella scrittura di Strati, in diversi suoi libri per marcare un pensiero, l’opposizione radicale al mondo dell’onorata società, che si esplica plasticamente ne Il Selvaggio di Santa Venera, in una triste e desolante realtà, perché se ci fossero state scuole, se i governanti si fossero preoccupati della povera gente non ci sarebbero state persone infelici riunite nella ’ndrangheta per farsi valere e per non morire nella più oscura solitudine.
Giuseppe Tripodi esplora la biografia e la bibliografia di Strati dentro un percorso di analisi ben strutturato, da La marchesina del 1956 a Tutta una vita, l’ultimo romanzo rifiutato da Mondadori, rimasto inedito per trent’anni e uscito postumo nel 2021.
Anche nell’analisi sulla scrittura di Strati mette in risalto uno scrittore bilingue, dove il dialetto calabrese appreso nell’infanzia e nell’adolescenza ritorna come codice linguistico nelle sue opere in una lingua madre a tutti gli effetti, portandolo a un grado elevato di dignità, integrandolo sapientemente con l’italiano e istituendo una lingua parlata dal popolo, in parte aderente alla concezione gramsciana nazional-popolare, una lingua grezza per la sua costruzione narrativa per poi intonacarla con la malta della lingua standard, volendo utilizzare una metafora azzeccata di Tripodi.
Giuseppe Tripodi scandaglia le molteplici varianti della vita e della scrittura di Strati, con un sapere dotto, erudito, con un linguaggio chiaro e preciso, senza sconfinare nei tecnicismi, maneggiando una necessaria robusta analisi critica. Infatti, ragionando sull’utilizzo stratiano di neologismi, Tripodi riporta con accurata completezza e competenza macroscopici errori e a volte l’improprio utilizzo di Strati nel repertorio delle parole.
Un saggio prezioso questo di Tripodi, nel centenario della nascita e nel decennale della morte di Saverio Strati, uno scrittore rimasto sempre ancorato alle inquietudini delle terre di Calabria, ingiustamente dimenticato, rinchiuso nelle dispotiche gabbie della memoria. Una ragione in più per apprezzare questo importante lavoro di Giuseppe Tripodi.