di PINO MACRÌ - Caro Aldo, questa volta non me la sono sentita di mettere “Mi piace” sotto il tuo articolo. O, meglio, ci avrei messo volentieri “”m-pia”, cioè “mi piace a metà”.
Vediamo perché.
Adottando la tua impeccabile metodologia, mi sono andato a sentire e risentire il minuto (scarso) di Stella a Sanremo. Poi, l’intervista con Mons. Bregantini su Radio Vaticana: di ambedue mi sono fatta anch’io la trascrizione, parola per parola.
Stella: “Questo (la bruttezza, n.d.r.) è un tema importante. Io credo che abbia ragione Mons. Bregantini, che è stato Vescovo di Locri a lungo, che dice che: «Un ragazzo che cresce in un posto brutto è più facile che cresca brutto». E cioè che le mafie hanno bisogno del brutto, del degrado, dell’immondizia; perché se tu vivi in un posto che è già un orrore dal punto di vista paesaggistico senti meno l’orrore del degrado anche morale, etico … Il degrado estetico deve essere accompagnato … quindi, riscattarlo, vuol dire riscattare tutt’e due le cose, che è una cosa fondamentale”. Punto.
Bregantini: “(D.): La bellezza è uno strumento per combattere la criminalità organizzata? R. – Io ritengo di sì. Apparentemente, sembrerebbe poesia. In realtà, il gusto della bellezza – come scrivo – è la migliore forma di antimafia, perché dà al giovane il gusto della propria identità, della fierezza di appartenere a una terra, di avere dentro di sé talenti meravigliosi che Dio ha dato. Quando c’è la consapevolezza di questo, il ragazzo non può entrare nella mafia, nel contesto negativo della delinquenza, perché si accorge che la mafia è sporcizia…”.
Ciò detto, cominciamo dalla metà su cui non concordo.
Se i miei ricordi liceali di semantica sono corretti, quella di Stella è una sineddoche: potremmo cioè dire che egli trasferisce al “tutto” le caratteristiche di “una parte”. Cioè parte dall’assunto-dogma che “nella Locride (o se si preferisce, a Locri) tutto è brutto (leggi: mafia, o ‘ndrangheta, che dir si voglia)” e poi, reinterpretando / strumentalizzando il pensiero di Bregantini, “per conseguenza (a questo punto, ovvia), il ragazzo che vi cresce è più facile che cresca brutto”. Sarebbe fin troppo facile controbattere che, allora, Roma (cioè la più bella città al mondo) dovrebbe essere eternamente esentata dai problemi di criminalità. Ma Stella non è così terra-terra, perché mi apostroferebbe subito dicendomi che la bruttezza non è solo quella estetica, ma anche quella dei comportamenti, quella etica.
Mi fermo qui perché non so quale parte del mondo sia immune dal degrado etico (la civilissima Norvegia ha visto, di recente, una strage di più di 80 giovani per mano di un “addetto alle pulizie etnico-etico-morali”) e, soprattutto, non saprei proprio classificare ed identificare il “male assoluto”. Stella, invece, evidentemente lo sa: il “male assoluto” è la malavita organizzata, e per “logica” conseguenza (secondo il dogma-assioma di cui sopra), i luoghi (brutti) che la consentono e, in quanto non la contrastano adeguatamente, la sorreggono, la sostentano, la proteggono (con l’omertà). Buon pro’: beato chi vive di certezze, perché avrà vita lunga e felice. Noi, che siamo sempre dubbiosi e socraticamente “sappiamo solo di non sapere nulla”, moriremo presto. E infelici.
Il fatto, però, è che l’Esimio non è per nulla nuovo a queste “imprese”: quattro anni fa circa, nell’ambito delle celebrazioni per il 150.mo anniversario dell’Unità d’Italia, il CorSera affidò a lui uno dei tre pezzi che dovevano illustrare il contributo della Calabria a quell’evento epocale (un altro, ben più degnamente scritto, fu di Vito Teti): orbene, l’Esimio pensò bene di accostare al fulgido esempio dei Cinque Martiri di Gerace le vicende, odierne, della moglie di un magistrato che risultò iscritta negli elenchi delle raccoglitrici di olive per scippare contributi che, ovviamente, non le competevano. Morale (stelliana): hai voglia ad avere, di quando in quando, qualche persona perbene, qui c’è sempre e soltanto malaffare.
E’ anche questa la posizione di Mons. Bregantini? Non mi pare proprio! E allora? Allora Stella ha compiuto una porcata e basta (e scusa il francesismo).
Quindi (e qui parte la metà che “mi piace”), hanno ragione quelli che si sono un po’ scompostamente ed istericamente inalberati, magari minacciando querele e/o chissà quali interventi preventivi/dissuasivi nei confronti di Stella-Fazio-Sanremo? Andiamoci piano. E facciamolo ripartendo proprio dal Bregantini-pensiero e dalla tua domanda finale: Qual è la ragione vera per cui noi calabresi scattiamo come una molla anche quando non ne esiste alcuna ragione? Insomma, perché continuiamo ad essere così deboli e fragili?
La prima risposta credo che sia perché (forse) abbiamo bisogno di sentirci prima di tutto amati: in questa ipotesi siamo (forse) disposti ad accettare le critiche. Quantomeno a starle a sentire. Poi, però, non riusciamo mai a programmare seriamente il nostro futuro proprio perché siamo deboli e fragili (forse) ed inseguiamo modelli di vita e di sviluppo che non ci sono consoni, lontani dalle nostre radici economiche, sociali e culturali (in questo senso, per esempio, molto modestamente e senza volontà polemica, penso che non sia stata una buona scelta quella dell’Amministrazione di Locri di sopprimere l’Assessorato alla Cultura e sostituirlo con quello agli Eventi, ma è senz’altro possibile che mi sbagli io).
Dunque? Certo, ripartire dal bello, quello “bregantiniano”. Ma non con le stucchevoli riproposizioni di bellezze paesaggistiche, che pure abbiamo in quantità, ma che, alla fin fine, servono solamente ai soliti noti per definirci “un Paradiso abitato da diavoli”. Bensì dalla cultura della legalità (quella vera, fatta con i fatti, non con le parole ed i proclami buoni a cercare un posticino accogliente in Parlamento o in altra assise locale). Bensì dalla riscoperta delle nostre radici (ma non quella del folklore stantio).
E, magari, dalla risposta di Pasolini al medico paolano Nicolini, al tempo della polemica in cui il grande scrittore fu coinvolto per le “offese” (quelle, sì, con le virgolette) a Cutro:
«Quanto alla miseria, non vedo perché ci sia da vergognarsene: non è colpa vostra se siete poveri, ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso. […] E quanto ai ladri, infine: non mi riferivo particolarmente alla Calabria, ma a tutto il Sud. Questi sono dati della vostra realtà: se poi volete fare come gli struzzi, affar vostro. » […] «Mi dispiace dell’equivoco: non si tiene mai abbastanza conto del vostro “complesso di inferiorità”, della vostra psicologia, della vostra collettiva angesi, o mania di persecuzione. Tutto ciò è storicamente e socialmente giustificato. E io non vi consiglierei di cercare consolazioni in un passato idealizzato e definitivamente remoto: l’unico modo per consolarsi è lottare, e per lottare bisogna guardare in faccia la realtà. »