Cola Ierofani e il sogno di un'altra Calabria nel Novecento

Cola Ierofani e il sogno di un'altra Calabria nel Novecento

cola3      di ALBERTO CISTERNA* - Cola Ierofani**. Cosa ci può essere di sacro (ieros) da dover rappresentare (fania) nella Calabria del secolo passato? Quel groviglio irruento di decenni che Hobsbawm ha definito per sempre il «secolo breve» e che Giuseppe Tripodi evoca nel titolo del suo romanzo. Il XX secolo sono le colonne d’Ercole della sua storia e insieme il limite estremo della sua peregrinazione tra alcuni decenni di vita dell’immaginaria Peripoli che tanto assomiglia a Melito PS.

Il romanzo di Tripodi è di quelli che scavano un solco profondo nella storia della letteratura, non solo calabrese. La scrittura è talmente colta, minuta, precisa da sembrare un origami. Umberto Eco quando spiegò le ragioni per cui aveva reso così complesse le prime cento pagine de “Il nome della rosa” disse che solo chi avesse avuto il coraggio di traversarle tutte, vincendo la stanchezza, avrebbe meritato di accedere allo scrigno di quel capolavoro. Tripodi non usa lo stesso stratagemma, si sente più vicino al suo lettore, sebbene abbia navigato (e si vede) tra centinaia di volumi, collane, raccolte e sia un modello di intellettuale meridionale onnivoro e cosmopolita. Quando ha presentato la sua fatica alle Scuderie Estensi di Tivoli ad ascoltarlo c’era tanta gente: c’era i suoi allievi di storia e filosofia del liceo, c’erano i suoi colleghi avvocati ed i suoi amici di quando era assessore comunale alla cultura. La sintesi perfetta di un tesoro che la solita, invincibile maledizione rapisce alla Calabria e scaglia lontano.

Tripodi racconta di una terra sospesa tra la magia delle sue superstizioni e la durezza delle condizioni imposte da una storia pesante quasi come un destino. I personaggi, però, si muovono con consapevolezza e sono lucidi, mai sopraffatti, sempre capaci di una risposta, di una scelta. Anche quella di morire nel momento in cui ritengono che si sia consumato un mondo e sia scaduta una missione. Spesso è la missione della politica, dell’impegno nel Partito comunista italiano, della fiducia mitica in Togliatti o in Berlinguer. Il “secolo breve” di Tripodi si chiude con il crollo del muro di Berlino e, forse, era inevitabile che fosse così. Quel mondo non era attrezzato a reggere l’irruzione del futuro che in realtà fu costretto ad accontentarsi di una modernizzazione passiva del Mezzogiorno e della Calabria che non vide mai i suoi cittadini protagonisti e vittoriosi.

Ecco per chiunque ami la Calabria e voglia capirla dalle viscere, per chiunque voglia comprendere il disastro e il baratro verso cui questa terra corre impazzita tra un scandalo ed un altro, tra un fallimento ed un altro, leggere il libro di Tripodi è indispensabile, quasi vitale. Volgendo lo sguardo a quei decenni si scorgono, come in una splendida Pompei, i fasti di una grandezza, le vestigia di un mondo che la cenere vulcanica di questi due ultimi decenni ha coperto e pietrificato. Non so se Tripodi nutra speranze per una Calabria così lontana negli interessi e così indelebile nel suo cuore. Certo i calabresi sono condannati ad averla, questa speranza, se non vogliono soccombere e guardare agli uomini e, soprattutto, alle donne di Cola Ierofani aiuta a capire da dove ripartire: da se stessi, come sempre nella vita.

*magistrato

** Giuseppe Tripodi, Cola Ierofani Amori e politica nel secolo breve, Città del Sole edizioni, marzo 2014, 18 euro.