IL RICORDO. Pino Certomà, il calabrese che ha speso la vita nella riflessione sul carcere

IL RICORDO. Pino Certomà, il calabrese che ha speso la vita nella riflessione sul carcere

pcs          di GIUSEPPE TRIPODI - Lo scorso 29 giugno, a Roma in un atelier di Via Giulia dove si erano dati convegno gli autori e i redattori della casa editrice “Sensibili alle foglie” e dove siamo andati ad ascoltare anche Ilario Amendolia che ha parlato con molto patos delle sue “Lettere dalla Locride”, abbiamo saputo della morte di Pino Certomà, nato a Stilo ad inizio degli anni quaranta del secolo scorso e morto a Roma ad inizio 2014.

               Pino l’avevamo conosciuto nella seconda metà degli anni sessanta: una sorella di sua madre aveva sposato un agiato commerciante di stoffe di Melito e lui, che già lavorava a Roma come assistente sociale, non disdegnava durante le ferie, metro di legno in mano, di mettersi dietro il banco per discutere sul prezzo di terital e fresco lana, di federe e biancheria da corredo, con donne che ‘tiravano’ anche sulle dieci lire e che a volte, a lui che non era nato per fare quel mestiere, gli facevano perdere la pazienza.

La sera, prima e spesso anche dopo cena e specialmente in estate, dismessi gli abiti dell’estemporaneo garzonato, misurava con noi, giovani inquieti nella pancia capiente del PCI dove nonostante i molti progetti di rivoluzione non riuscivamo a smuovere neanche un enzima, diverse volte il Corso Garibaldi discutendo di politica e di cultura, impegnando anche il suo corpo magro e dinoccolato in una gestualità che aveva come complemento fondamentale l’immancabile sigaretta tra le dita affumicate.

Ad un certo punto, nel 1970, fondammo un circolo culturale che ebbe sede nella via XIX Agosto e che intitolammo a Gaetano Salvemini. Pino fu categorico e profetico: “Durerete un anno e poi, o ripiegherete dentro il Pci con il capo cosparso di cenere o vi disperderete!”; e io effettivamente, e con la mia partenza il circolo che avevamo messo su, mi sono disperso per quindici anni dietro famiglia, concorsi e diaspore e solo a metà degli anni ottanta, ormai addomesticato dei bollori adolescenziali evaporati nel corso del complesso viatico precedente, ricominciai a frequentare il PCI.

Pino aveva continuato il suo lavoro impegnando tutte le sue forze in una riflessione sul servizio sociale, specialmente su quello che si esercitava nelle carceri e nei luoghi di segregazione come i manicomi e poi gli OPG; dal 2002 in avanti, gli rimaneva un anno di lavoro prima della pensione, le sofferte conoscenze anche antropologiche che aveva accumulato nella sua lunga stagione lavorativa sono state versate in ben sette libri che costituiscono l’alfa e l’omega per chiunque voglia occuparsi della storia e della teoria della condizione detentiva e delle sue diffuse e devastanti torsioni; imprescindibili “Il servizio sociale: storia, ricordi, pensieri” (2002), Il servizio sociale e l’etica pratica dell’altruismo (2006) e Il carcere discarica e il tramonto del servizio sociale della giustizia (2010); libri tutti pubblicati, come l’ottavo ed ultimo apparso ad inizio del 2013, Contro l’obbedienza e la servitù, da “Sensibili alle foglie” : “Posso dire che l’editore … è diventato un compagno di fiducia, un amico disposto ad affrontare come me un rischio, il rischio del fallimento”.

L’ambiente della casa editrice, i seminari, i corsi di socioanalisi narrativa erano diventati per lui, che non aveva fatto famiglia, un surrogato adeguato anche dal punto di vista emotivo, un luogo di affetti e di autoanalisi (“Desta in me una certa sorpresa vedere che alcuni membri mi coccolano, mi corteggiano, mi sostengono. Addirittura un membro giovane nell’incontro del 27 marzo mi ha dato un bacetto innocente. Io accetto queste attenzioni molto affettuose con un certo disagio perché non sono abituato a queste esperienze affettive … questo è un gruppo caldo che mette in moto processi affettivi imprevedibili”, Contro l’obbedienza e la servitù, cit. p. 22.) di cui, allontanandosene, sente terribilmente la mancanza: sicché il 17 luglio 2011 a Roccella annota sul suo diario: “Oggi dovevo essere a Roma per partecipare all’incontro del gruppo socio analitico. Ho avvertito molto la mancanza di Renato e Nicola … Con il mio rientro a Roma leggerò le loro relazioni” (ibidem, p. 28).

Il libro merita un’attenzione a parte. A noi piace chiudere questa nota con gli appunti di Pino immerso sul suo bighellonare per la città jonica, flaneur in casa propria alla ricerca del tempo perduto: “Mi trovo a Roccella Jonica, il paese di mio padre. … sono andato alla Chiesetta Maria SS delle Grazie. La chiesa è lontana 1 Km circa dal centro del paese. Io vado in questo luogo di preghiera per gustare il silenzio, la solitudine, l’armonia, la pace. … Il mare era calmo, pulito e di colore azzurro. … Il mio penetrante e dolce sguardo sul mare ha allargato l’orizzonte della mia anima. Nel tardo pomeriggio ho fatto una lunga passeggiata in via Marina. E’ stata una passeggiata di tre Km … Ho visitato il porto che è un luogo molto caratteristico e suggestivo, e ho guardato con interesse e curiosità le barche da pesca, i motoscafi, ecc., Durante la passeggiata ho meditato sulla mia esperienza di vita e ho cercato di guardare con occhi diversi le cose del mondo. … Dietro il camminare vi è una saggezza antica … in inverno avevo letto “Apollineo e Dionisiaco” di Giorgio Colli … Questo modo di trascorrere le vacanze fa bene alla mia salute fisica e mentale” (Contro l’obbedienza e la servitù, cit, pp. 28-30, passim).

Buon soggiorno nel Nirvana, compagno Pino!