di ANTONIO CALABRO' -
Mario Martone dirige il sempre più bravo Elio Germano nel film “Il Giovane Favoloso”, che racconta la vita del più grande poeta italiano: Giacomo Leopardi.
Si entra subito nella storia: le poesie immortali prendono corpo e luce, si slegano dalla tristezza delle aule scolastiche con alcuni professori che da decenni mortificano i suoi versi, inquadrandoli a forza nei parametri biechi di un insegnamento goffo e finto. Giacomo Leopardi, dall’alto della sua logica illuminata, con la potenza del genio, è allo stesso tempo soggetto, verbo e complemento; è azione compiuta, è riflesso di un attimo, e dilatazione, all’infinito, del senso della vita e della morte.
Lo sguardo dell’attore, a tratti, con la forza straripante delle parole immortali di sottofondo, s’illumina di consapevolezza; Elio Germano si arrende al gigante: gli cede corpo e spirito, accarezza la sua storia con la gentilezza dell’artista, precipita con lui nel buio della logica, culmina nella sublime razionalità delle sue intuizioni. Leopardi sconfigge le tenebre della consuetudine mortale, ribalta il piano scivoloso sul quale il romanticismo stava declinando, lo trascina nel mondo eterno della filosofia classica, e ne tira fuori una lezione di potente attualità, contemporanea nel divenire, senza fine e senza tempo.
Mario Martone, evidentemente innamorato di un secolo infiammato da giovani che realmente hanno pagato il dazio alla volontà di sapere e di spingersi oltre, indugia sulla gabbia terrificante di una famiglia ottusa e superstiziosa, coglie la volontà del ragazzo-Leopardi di farsi indagatore, rende merito al sapere ma squalifica l’accademia, la politica abbinata alla poesia, il popolarismo facile. Ne esalta invece la tremenda solitudine che non scaturisce dalle sue fattezze, e neanche dalla sua malinconia nostalgica della beatitudine fanciullesca, bensì dal ragionamento lucido di un grande ed erudito pensatore, libero sempre, persino tra le grinfie di una società asfittica e ipocrita come quella dei suoi tempi. Leopardi stravince il confronto con la storia; ma, come tutti, perde quello con la matrigna crudele, con l’unica entità che riconosce: la natura.
Il film è di grande impatto emotivo per chi già ama il grande poeta. Sofferenza, riflessione e inganno, smisurato desiderio e anelito di libertà: libertà dal corpo, dalla fatica e dal dolore. Il velo si squarcia, la Luna, più volte inquadrata con maestria, rappresenta lo sguardo; Silvia è pura illusione, i fiori della Ginestra offrono l’unica soluzione, che è la concordia. Tutto scorre implacabile, scavalca il beota e lo scemo, il ridanciano e il pressappochista. A nulla servono i lazzi e i dardi di una fortuna veramente oltraggiosa: a nulla servono le burle dei lazzaroni pezzenti; niente scalfisce la roccia delle sue parole messe in fila, granito della letteratura italiana e mondiale, scala verso un cielo terreno che nulla possiede di metafisico.
Fosse vissuto nella Parigi dell’epoca, Leopardi avrebbe trincato con Baudelaire; nella San Francisco di Ferlinghetti, avrebbe bevuto bourbon con Kerouac; lui era oltre il presente: è Pasolini nella lungimiranza, ma soprattutto anticipa Croce nella sapienza. Infatti ad un certo punto esplode: giudicate i miei scritti in base al ragionamento che contengono, e non per le mie sofferenze. Frase che più Crociana non si può.
Ma non lo dite ai Disneyani esperti di letteratura. Per loro, si tratta di pessimismo cosmico, questa definizione ridicola e ai limiti del tormentone. Il pessimismo cosmico è una canzone dei Righeira, un motivetto che mi piace tanto da fischiettare quando si marina la scuola e si va al mare.
Il film racconta di un uomo. Un uomo oltre ogni barriera, che fece del dubbio la sua fede, e che scrisse i versi più belli di tutta la poesia italiana. Andate a vederlo, sarà una buona medicina.
PS. Durante il film, proprio durante la recitazione dell’Infinito, è squillato ripetutamente un telefonino, con tanto di risposta della simpaticona. Questa è stata una rappresentazione in scala di ciò che è la società contemporanea. Horror Plenum.
Rumori e disturbo, ascoltando l’Infinito. Il giovane Leopardi avrebbe riso.