RECENSIONE: Cose di Francia, l'Alvaro giornalista e critico

RECENSIONE: Cose di Francia, l'Alvaro giornalista e critico

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di ORIANA SCHEMBARI

È l’Alvaro critico - letterario, teatrale, artistico, cinematografico - che si rivela nel libro “Cose di Francia”, a cura della studiosa Anne Christine Faitrop-Porta pubblicato da Città del Sole Edizioni. Una raccolta dei suoi articoli più significativi sulla cultura francese, pubblicati tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, quando era collaboratore per “Il Mondo” (di Giovanni Amendola e poi di Mario Pannunzio), “Il Risorgimento”, “La stampa”, “Il popolo di Roma” e di diverse riviste francesi. Recensioni puntuali e ritratti penetranti, riflessioni argomentate sulla cultura dell’Ottocento, di cui il calabrese dimostra di essere fine conoscitore, e lampi sulla società e la cultura in rapida mutazione nella prima metà del Novecento.

Tra gli scritti degli anni Venti, che risalgano al suo primo soggiorno a Parigi, centrale è quella cultura d’oltralpe appresa prima tramite il padre nella sua prima giovinezza calabrese e poi dal suo istitutore francese nel collegio in cui completa la sua istruzione. Alvaro si muove agevolmente tra i grandi, Hugo, Balzac, Montaigne, Pascal, France etc., ma anche tra diversi autori meno conosciuti; dei primi è anche traduttore – probabilmente, ci dice la curatrice, è il primo a tradurre Proust in Italia e nel testo è riportato proprio il brano “La morte di Bergotte” tratto da La prisonnière – e firma anche diverse introduzioni ai capolavori della letteratura francese, anche queste contenute nel testo, L’uomo che ride, I Miserabili di Hugo, i Pamphlets di Courier. Se l’ammirazione per la cultura francese è palese, egli è conquistato dalla sua “clarté”, ossia la sobrietà, la misura, la ragione, da essa non dimostra di esserne sopraffatto, mantenendo intatto il suo spirito critico, l’indipendenza e la lucidità di giudizio. Inevitabile il confronto con l’Italia, dove in piena epoca fascista si rischia la chiusura e il soffocamento culturale, «… la cultura, per non parlare della società, non respira se non ha scambi con l’estero», afferma.

Se la letteratura rappresenta il suo humus naturale, è al teatro che si accosta con maggiore interesse e curiosità. “Fare il processo d’un teatro vuol dire parlare d’un popolo”, esso “offre la dimensione poetica della realtà”. Parigi è la capitale dello spettacolo, in quegli anni e anche nel secondo dopoguerra, e Alvaro è acuto osservatore non solo di quanto avviene sulla scena ma anche in platea, scruta le reazioni del pubblico, i suoi umori di fronte all’opera rappresentata, che diventano parte integrante delle sue recensioni. E pur essendo stato sceneggiatore, soggettista e dialoghista, non lo convince altrettanto il cinema, di cui diffida per la sua azione divulgativa, ma anche perché è un’arte meccanica che all’uomo propone “il come” dell’esistenza e non, come la letteratura e il teatro, il “perché”.

L’irruzione della psicoanalisi e dell’eros, a teatro, nella letteratura, nel cinema, sono fenomeni che Alvaro considera criticamente, mentre sembra ravvisare quasi un “accanimento”, nella cultura moderna, dell’uomo contro l’uomo. «Se la nostra epoca è barbarica, confortata da tutte le raffinatezze della tecnica, noi la rendiamo tremenda come la vigilia dell’ultimo giorno». «Poiché intimamente odiamo qualche cosa di noi, riversiamo questo rancore nell’immagine del nostro prossimo. Qualcuno ci ha umiliati, ci ha indotto a disprezzarci. E allora la durezza e il disprezzo sono il carattere della letteratura del tempo», scrive nel 1952. Una guerra rovinosa ha scoperchiato la ferocia umana e ha portato come estrema conseguenza a una condanna senza appello degli uomini verso i propri simili, da parte dell’artista, dell’intellettuale, non più capace di pietas, ma anzi travolto dal biasimo e dal disgusto verso l’umanità. Come non pensare alla lezione dell’esistenzialismo e di Sartre?

L’altro elemento, non meno rilevante, è lo stile di Alvaro, che rivela la sua grandezza proprio nella misura breve del racconto, così come della recensione, intensamente acuto e illuminante. L’utilissima introduzione della curatrice francese sottolinea questo aspetto più volte, e si conclude così: «Viaggio come le liriche, è la critica, labirinto, come il primo romanzo, è l’opera letteraria e artistica, e Alvaro non guida ma accompagna il lettore verso l’essenziale, fino alla soglia del mistero della creazione».

Il volume è stato presentato in anteprima lo scorso 23 ottobre a Firenze, all’interno del prestigioso Pal.Strozzi nella biblioteca de il Gabinetto scientifico-letterario G.P.Vieusseux, in collaborazione con l’Istituto Francese di Firenze.