di MARIA FRANCO -
«Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati a lottare per l’abolizione della pena di morte, ma anche per il miglioramento delle condizioni carcerarie nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà».
Parlando con i rappresentanti dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, papa Francesco si è espresso duramente contro la carcerazione preventiva, il “castigo penale” dei bambini, i regimi di “massima sicurezza” e l’ergastolo. Di quest’ultimo, ricordato che da poco è stato abolito dal Codice penale del Vaticano, ha detto che «è una pena di morte nascosta».
C’è un problema carceri in Italia (leggasi: carceri per adulti; il minorile è altra cosa), su cui è intervenuto più volte il Consiglio d’Europa per stigmatizzarne i trattamenti “disumani e degradanti” del nostro sistema e su cui ha richiamato l’attenzione, anche con un messaggio alle Camere, il presidente della Repubblica, Napolitano.
Come italiani, non ci riguarda direttamente il discorso del papa sulla pena di morte, esclusa dalla nostra Costituzione (ma il Catechismo della Chiesa cattolica tuttora la riconosce lecita «quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani»).
Quanto all’ergastolo, si tratta certamente di pena tragica che corrisponde a incommensurabili sofferenze inflitte dal reo alla comunità, ad atrocità particolarmente efferate.
(Dice lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica che «Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto»).
La nostra Costituzione, all’articolo 27, afferma che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Il che vuol dire bilanciare l’elemento afflittivo della condanna con quello rieducativo, atto al reinserimento sociale del condannato. Ed è proprio sul necessario bilanciamento tra elemento afflittivo ed elemento rieducativo che ha fatto leva la Consulta per respingere vari tentativi di far dichiarare l’ergastolo incostituzionale.
L’ergastolo è attualmente in atto, nel nostro paese, in due forme: quello normale e quello ostativo.
Il primo si identifica con una condanna, al massimo, di 30 anni, durante i quali il condannato può usufruire di permessi, semilibertà e libertà condizionale. Ovvero, gli si dà, a fronte di un reato gravissimo, la pena più alta, ma la si commisura, via via, al cammino rieducativo effettivamente intrapreso.
Il secondo, quello ostativo, corrisponde al “fine pena: mai” e concerne reati specifici, quali, per esempio, omicidi di stampo mafioso (a meno che, nel caso, non si diventi collaboratori di giustizia).
Quanti italiani vorrebbero davvero abolita la reclusione a vita per atrocità che hanno investito l’intera nazione e per personaggi che hanno insanguinato la nostra storia recente?
Il dibattito sarebbe interessante, ma è di quelli che non sembrano interessare i media.