di GIUSEPPE TRIPODI -
Muca, marciume di colore verdognolo che interessa alcuni alimenti (pane, formaggio, salame) quando non sono consumati in tempo o sono mal conservati; in calabrese si coniuga anche il verbo Mucàri, marcire, usato anche spregiativamente anche per gli uomini: testa mucàta, cattivo soggetto, è soprannome ma anche ingiuria estemporanea indirizzata a chi ha il cervello ammuffito e poco attivo. Non ci sono parole corrispondenti nell’italiano parlato.
Interessante l’etimologia perché ci aiuta a collegare altre parole calabresi in via di estinzione: dall’accadico muhhu (capo, parte superiore) sono derivati l’ebraico maq (marciume, putridume), il greco mùkês, fungo, forma verbale mukeô, (faccio funghi da cui le parole del lessico scientifico miceti, micologia, etc), il latino mucus, muco, (cal. Muccu, moccio, da cui Muccùsu, ragazzo di poco valore, bamboccio per via del muco che spesso a questo cola dal naso) nonché muc(c)eo, mi copro di muffa, detto del vino per via della superficie che produce una copertura di mucillagine.
Il legame tra Muhhu e maq sta dunque nel fatto che il marciume che si forma sopra il vino ne costituisce la testa.
Da mucus sono derivati i francesi moucher (soffiare, soffiarsi il naso) mouchoir (fazzoletto), ma non l’italiano volgare mucciare (che lo Zanichelli rende con sfuggire, schivare, burlare, farsi beffe) e il francese moquer (se), prendere in giro, moquerie, beffa, presa in giro, e il calabrese Mmucciare, (nascondere, facci mmucciàta, viso di persona che vive e trama nell’ombra, mmùccia cumpari c’u culu ti pari, detto per chi cerca di nascondere goffamente qualcosa con il solo risultato di farla risaltare di più)che derivano dal latino muc(c)eo , mi copro di qualcosa, mi nascondo, per fare uno scherzo, come nel gioco del nascondino che in calabrese si dice Mucciatèddha.
Interessante anche la voce calabrese Muccatùri, il foulard delle donne: con uno di color nero si nascondevano il capo in caso di lutto o si proteggevano e detergevano il viso durante i lavori di campagna; esso partecipa dunque sia del significato di Muhhu (capo) che di muc(c)eo, nascondere.
Il diminutivo Muccaturèddhu può indicare anche fazzoletto da naso, con la sovrapposizione di tutti i significati elencati sopra, ma è un po’ forzato; infatti la più famosa canzone popolare calabrese, Calabrisèlla, nel secondo verso distingue le due cose: La vitti a la chiumàra chi lavava / lavava farzoletti e Muccatùri.
La funzione detergente del Muccatùri ha incontrato la religione cristiana nella specie della Sindone, il Muccatùri con cui Maddalena asciugò il viso del Cristo deposto. Ma in quel caso i Vangeli greci usavano soudàrion mentre la Vulgata latina usava l’omofono sudarium che, come dice Emil Benveniste, era “in generale un capo di biancheria che, dal fatto di essere menzionato tra gli oggetti funerari della Risurrezione, ha preso il significato specifico di tovaglia per avvolgere la testa dei morti” (Problème de linguistique générale, vol 2, Paris, Gallimard, 2005, p. 242).