di GIUSEPPE TRIPODI - Cipùddha, cipolla, rilevante nell’alimentazione popolare ma diffamata dalla cultura piccolo-borghese per via dell’odore che, se ingerita cruda, lascia in bocca a lungo. Non mancano apprezzamenti da membri delle classi sociali elevate che apprezzano l’importanza metabolica e organolettica. … e quando ti taglia/ il coltello in cucina /sgorga l’unica lacrima / senza pena, / Ci hai fatto piangere senza affliggerci. (Ode alla cipolla di Pablo Neruda, basso continuo a questa voce)
I contadini e gli operai di una volta, che avevano a che fare anche con altri odori più o meno pungenti, non ci facevano caso ed anzi erano orgogliosi del legame alimentare che con essa intrattenevano: Mangiari pani e cipuddha poteva anche essere espressione di ristrettezza economica (Fatìe e fatìe / e a’ sère pane e ccepoddhe recitano in dialetto pugliese i versi struggenti di Matteo Salvatore) ma anche lode implicita a chi è parco e si accontenta di mense non sontuose: mègghiu a la casa tua pani e cipùddha chi a casa d’atri carni di viteddha, dove, a parte il valore metaforico insito in ogni proverbio, si dichiara la superiorità di una alimentazione ipoproteica in condizioni di autonomia rispetto a una iperproteica (la carne di vitella) in condizioni di disagio (a casa d’atri). Ma alla portata / delle mani del popolo, / innaffiata con olio, /spolverata / con un po’ di sale, / ammazzi la fame / del bracciante nel duro cammino.
Sulla scarsa considerazione economica di agli e cipolle rimane il detto: agghi e cipuddhi non pagano mbrogghi, cioè non se ne trae profitto tale da risolvere le situazioni ingarbugliate. Agli e cipolle sono legate tra di loro anche attraverso altri modi di dire: uno, calabrese, sull’improvviso volgersi della sorte (si vo agghi pigghia cipuddhi) e l’altro, pugliese, sull’incomprensione: Dike agghie r quill r’sponn cipodd.
Vestirsi a cipolla è una raccomandazione per non prendere raffreddori durante i periodi di gelo ma Facci i cipuddha può essere una soprannome legato alla fisiognomica ( uno/a con la faccia rotonda) a anche alla mutevolezza del carattere: fari centu facci comu a cipuddha non va bene sia se si allude alla sfericità, che consente di girarsi mostrando infinite prospettive, e sia se si vuole censurare il cambio di casacca, specie in politica, collegato semanticamente alle diverse tuniche concentriche, secche all’esterno e carnose all’interno, che costituiscono il bulbo, la parte ctonia della cipolla. Cipolla / luminosa ampolla / … squame di cristallo t’hanno accresciuta / e nel segreto della terra buia / s’è arrotondato il tuo ventre di rugiada / … sotto la terra / è avvenuto il miracolo /… la terra così ti ha fatto, / cipolla, /chiara come un pianeta /… globo celeste / coppa di platino / … vive la fragranza della terra /nella tua natura cristallina.
La buda è la parte emergente della cipolla, dritta nella fase vegetativa (le tue foglie come spade nell’orto recita don Pablo) si affloscia fino a seccarsi nella fase di ingrossamento del bulbo
A volte tra quelle spade nerudiane c’è una punta che non si affloscia ma si arrotonda in cima facendo crescere dentro la piccola sfera, altro miracolo della natura, i semini neri della riproduzione.
Le cipolle, cavate da terra nella tarda primavera, le si poneva a maturare in luogo asciutto o al sole dopo averne intrecciato le bude disidratate; si otteneva così la Resta, sorta di treccia lunga poco più di mezzo metro con cui si legano assieme diverse teste di cipolla ma anche di aglio.
Tantu faci na testa quantu faci na resta è un detto popolare, non riferito alle cipolle, che intende stigmatizzare i comportamenti deviati come l’assunzione di elementi dannosi che, anche se in piccole dosi, rappresentano comunque un pericolo.
Interessante l’etimologia di resta dal latino Restis che era la corda che i coreuti tenevano per mano nella danze in catena o in circolo (in Terenzio, tu inter eas restim ductans saltabis, tu salterai in mezzo alle ragazze reggendo la corda); la danza con la corda (in greco kordacs), molto licenziosa, era una delle attività fondamentali del coro nell’antica commedia greca e consisteva in strusciamenti indecenti e movimenti lascivi dei danzatori; al di fuori del teatro era considerata un segno di ubriachezza o di completa depravazione!
L’importanza della coltivazione delle cipolle ha prodotto il deonomastico Cipollari, cognome di chi evidentemente coltivava cipolle, e, fonte Rohlfs, l’identico soprannome collettivo attribuito agli abitanti di Gioiosa Jonica, secondo me derivato più dalle abitudini alimentari come in altri identici casi (mangiasardelle per melitesi, piscistoccari per i reggini, mbuddaci, mangiatori di chiocciole, per i messinesi, etc.etc).
Cipuddhina era nome collettivo del mazzo di piantine appena tolte dal vivaio e pronte per il trapianto; Cipuddhàzzu era invece una cipolla selvatica che produceva uno steso simile all’asfodelo.
Cipuddha è un pesce rosso di piccole dimensioni adatto e indispensabile per i brodetti calabresi: Rohlfs lo identifica, sbagliando di molto, con il grongo; il suo nome è pàrago (Lutjanus purpureus).
‘Nchianari ‘ncipuddha in alcuni paesi della Calabria significa arrabbiarsi montare in collera, forse per analogia con lo spirito acre della cipolla cruda.
A Tivoli Accipollare è una parola dell’argot criminale e sta per “accoppare qualcuno”.