di GIUSEPPE TRIPODI -
Llatriari-llatriarsi, rotolare-rotolarsi nell’acqua nel fango, tipico dei maiali specialmente in estate, “sporcare” e “sporcarsi” in genere, specialmente detto dei bambini cui piace giocare con l’acqua: ti llatriasti tuttu, peju d’u porceddhu.
Mi llatriai tutta! può anche essere lo sfogo di una donna con un flusso mestruale improvviso o esagerato.
Il significato del verbo oscilla dunque tra “lavarsi”, giocare e cercare refrigerio nell’acqua, e il fallimento dell’azione che esita nell’opposto, cioè nel lavarsi maldestramente e quindi “sporcarsi”.
Oltre al generico LLatriari esiste il riflessivo Mbulutriari, probabilmente con lo stesso significato rafforzato però dal prefisso m-bu, costituito dalla m eufonica e dal bis latino indicante il raddoppio; il tema ripropone la parola latina Lutum (fango, terra resa molle dalla pioggia) e rimanda al greco Lùthron, sudiciume, fango, impurità; derivato, a sua volta, da Loùo (lavo, faccio un bagno riposante e purificatore), verbo considerato di origini oscure da A. Ernout e A. Meillet (Dictionnaire étimologique de la langue Latine, Paris, 1951 sub voce).
Giovanni Semerano (Dizionario della lingua greca, Firenze 2002) collega Loùo a Loetrà che è un verbo omerico: Iliade, Libro XIV, versi 5-6, “Nestore invita l’ospite a bere dalla grande coppa / finché verrà con il lavacro caldo ( eis ò ke thermà loetrà) la bella riccioluta Ecamede” (traduzione di C. F. Russo, L’iscrizione della Coppa di Nestore, Bari, Laterza 2012).
L’assonanza fonica e semantica tra Loetrà e Llatriari è fuori discussione, i passaggi dall’uno all’altro difficili da ricostruire anche per il più dotto dei glottologi. Ma la direzione c’é. Nel 1955 l’archeologo tedesco Giorgio Buchner scopriva nella necropoli di Pitecusa (Isola d’Ischia) i frammenti di una coppa di uso quotidiano, larga non più di dieci cm, recanti un’iscrizione di tre versi. Carlo Ferdinando Russo, interpellato immediatamente, ricostruì e tradusse i versi: “ Di Nestore … la coppa buona a bersi (salutare) / Chi beva dalla coppa di costui (Nestore), quello sùbito / desiderio prenderà della bella inghirlandata Afrodite”. Per il grande filologo “le tre linee pitecusane dipendono dal libro iliadico XIV … il cinto ricamato e variegato di Afrodite suscita istantaneo eros ai massimi livelli!” (ibidem, p. 8-10).
Nella Calabria di cinquant’anni fa esisteva un uso metaforico del riflessivo LLatriarsi per indicare un rapporto, una congiunzione carnale estemporanea e non meditata, dai contorni torbidi (Cu chiddhu ti llatriasti? Mali pe tia!), analoga a quella evocata dalla tazza pitecusana, dove si parla di un immediato desiderio della bella Afrodite ( l’eros istantaneo di cui parla CFRusso) conseguente alla libagione che essa aveva recato!
Altro possibile antenato di LLatriari é quello con le parole greche Latreùo, sono asservito, Latréia, servitù, Latris mercenario, bandito, grassatore (la cui il latino Latro), persone e parole certamente non esemplari quanto a comportamenti e significati.
E a proposito di latrones il più famoso e il più citato da filosofi e moralisti anticonformisti è un pirata che scorazzava per il Mediterraneo ai tempi di Alessandro Magno; catturato dai macedoni venne condotto al cospetto dell’imperatore che gli chiese conto delle sue ladronerie.
La risposta sarebbe carica di pregevoli insegnamenti anche per i nostri tempi pieni di grandi ladroni mediterranei e transatlantici: Quia ego parvo navigio facio, latro vocor, quia tu magna classe, imperator.
La traduzione calabrese e più colorita e meno banale di quella in lingua italiana: Datu chi traficulìu cu quattru gummùni tra Djerba e Lampedusa mi chiamàti pirata, tu ambèci, chi nci scassi u cazzu a tuttu u mundu (cu derivati, portaerei e F35), si l’imperaturi!