di MARCO NASTASI -
La bellezza salverà il mondo disse un principe che era tutto fuorché un idiota. Basta la bellezza, per quanto somma, a ridare slancio vitale al martirio di una terra svilita da azioni di intrinseca bruttezza? Uno straordinario potenziale buttato nel mare dell’opposto, rabbia e senso d’impotenza sembrano soffocare la speranza anche degli spiriti più puri, quando una semplice gita fuori porta si rivela una sorta di squarcio vitale nel muro cementificato dall’ignavia e dall’indifferenza, issato perché nulla possa e debba cambiare.
Quel giorno, primo maggio dell’anno, una macchina, due occupanti e una meta: Kaulon, l’antica Monasterace, e il suo museo appena inaugurato. All’ingresso, un cartellone illustrativo ci accoglie con il seguente incipit:”Kaulonia fu fondata all’inizio del VII sec. a.C. da coloni giunti dalla regione greca dell’Acaia..” Da quell’istante inizia un’esperienza, intesa come lo sviluppo totalizzante di una relazione che ci mette in contatto sinergico con l’altro, in questo caso un mondo lontano nel tempo, ma che, grazie alla visione intrinsecamente estetica ed estatica di ciò che resta di quel mondo, condensa magicamente secoli lontani in pochi ma significativi attimi.
Ed è così che ci facciamo rapire dalle decorazioni di coronamento del frontone di un tetto, dagli oggetti ed i luoghi vita quotidiani: le evocative arule, piccoli altari che venivano utilizzate per i culti domestici, le coppe, tra le quali si distingue la kylix, in cui veniva versato il vino che faceva da protagonista nel Simposio, lo splendido mosaico pavimentato in cui è raffigurato un drago marino da cui il nome “Casa del Drago”, una delle abitazioni più lussuose di Kaulon. Ed ancora le anfore per trasportare le derrate alimentari, le terme, le frante armi, i resti del tempio dorico, i “Kadoi”, grossi contenitori piriformi per il trasporto a fini commerciali della pece, i vasi a figure nere per oli profumati ed unguenti.
Usciamo dal museo, e, dopo aver superato agresti sentieri, davanti a noi si spalanca il proscenio in cui si manifesta nel suo apice l’incontro tra due infiniti. Da un lato la bianca distesa di una spiaggia baciata da un mare vasto e sincero, unico testimone privilegiato di vite e di storie incastonate nelle porte di tempi lontani,dall’altro le rovine della città che fu e che ci avvolgono con tutta la magniloquenza che solo la storia e la vita possono avere, dandoci la sensazione che qui e adesso sono vacue coordinate. Perché il passato riecheggia con tutta la sua forza per poi prenderci dolcemente per mano. Alla fine la sensazione è quella di essere tornati da un viaggio nel tempo, in cui il respiro del passato ha preso la forma di un mago che con un incantesimo ha fatto scomparire il presente. O forse è l'alterità di una dimensione spaziale che si svela e si rivela in un luogo ,come un confine del mondo, in cui il mondo stesso si schiude e con esso il proprio sentire ,quello che ha il potere di riconciliarti con le cose più autentiche mostrandoti l'ineguagliabile bellezza e donandoti la possibilità di fare pace con te stesso, ora centro di un mondo vero.
Grazie al vortice emotivo che mi ha trascinato in quella giornata, prima in forma di suggestioni percettive, poi come costitutiva energia per un’analisi più propriamente cognitiva, sono tornato a condividere il pensiero del Principe, declinato nel seguente modo: La bellezza può e deve salvare la nostra terra; siamo obbligati verso noi stessi e, verso i lasciti di epoche passate luminose, verso una natura generosa, verso le generazioni che ci seguiranno a cui non possiamo lasciare solo la rassegnazione, non le macerie dell’anima, ma il dono più grande, la speranza