di BATTISTA SANGINETO*
- La montagna di soldi ha partorito un topolino: dopo sei anni e 33 milioni di euro spesi peri lavori di restauro, di sopraelevazione e di riallestimento, sabato 4 luglio è stato riaperto, in sordina, il Museo archeologico Nazionale di Reggio Calabria. I Bronzi di Riace avevano dovuto aspettare, poverini, ben quattro anni, sdraiati nell'ingresso di Palazzo Campanella, prima di poter rientrare a casa loro, nel dicembre del 2013. Tutti gli altri straordinari reperti che arricchivano le sale del Museo fino al 2009, hanno finora, purtroppo, dovuto impolverarsi nei magazzini della Soprintendenza. Una casa che, per la celebrazione del 150 anniversario dell'Unità d'Italia, i passati governi avevano voluto ristrutturare a partire, nell'ormai lontano 2009, dall’indimenticato Sandro Bondi, passando da Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi, Massimo Bray (che, almeno, si è imposto per far tornare i Bronzi nel Museo) fino all'attuale Dario Franceschini.
Il progetto di ristrutturazione e di rifacimento architettonico-funzionale del Palazzo era dello Studio ABDR (Arlotti, Baccu, Desideri, Raimondi), che, però, non aveva inserito, sin dall'inizio, un progetto scientifico organico riguardante un nuovo allestimento delle straordinarie raccolte archeologiche del Museo.
Un comitato scientifico, nominato dal Ministero, per il riallestimento - del quale facevano parte Salvatore Settis, Cecilia Parra, Dieter Maertens, Carmine Ampolo ed altri - per la verità esisteva ed aveva anche consegnato, nel 2009, le linee guida per la risistemazione del Museo, ma dopo poco è stato messo, in sostanza, alla porta.
In Italia, e soprattutto in Calabria, per questo genere di appalti di restauro, vedi il Castello di Cosenza, è molto più importante, e conveniente, il contenente rispetto al contenuto. E teleologicamente più rilevante, ormai, la forma del contenuto. I primi quattro, lunghi, anni di lavori sono andati a rilento, lavori che - come sempre accade alle opere pubbliche in Calabria - si fermavano e poi ripartivano con il risultato che i costi si sono triplicati: da 10a 33 milioni, ma almeno i due Bronzi, solo loro beninteso, sono riusciti a rientrare nel dicembre del 2013. Le statue, nonostante che siano state collocate di modo da mostrare le terga ai visitatori che entrano nella sala, sono riuscite a portare da sole, letteralmente, quasi 200.000 turisti nel Museo (fonte "Giornale dell'Arte”), facendolo diventare il più visitato del Mezzogiorno nel 2014.
Oltre al costo spropositato e all'insopportabile ritardo di tutta l'opera di restauro, cosa dire della soprelevazione eretta sullo storico, e vincolato, Palazzo Piacentini per realizzarvi un vasto e panoramicissimo “roofgarden"? E, ancora, come spiegare l'incongrua copertura del cortile interno, prima aperto, che, secondo i progettisti, dovrà funzionare come lobby-atrio che ospiterà mostre d'arte contemporanea, la biglietteria, il book shop e l'ingresso all'ascensore e alle scale che porteranno all'ultimo piano da dove - colpo di genio rivelato dai progettisti medesimi nel loro sito online - inizierà la visita in discesa, fino al pianoterra dove sono installati, di spalle ai visitatori, i due poveri, incolpevoli Bronzi?
Ci sono voluti altri due anni per riaprire solo una piccola porzione di Palazzo Piacentini che, costruito fra il 1932 ed i11941, ha ospitato, e continuerà ad ospitare, una delle più grandi e ricche raccolte di antichità del mondo intero. Dopo tutto questo tempo e questa quantità di lavoro e di denaro il Museo non è stato riaperto tutto, anche se il solo riallestimento è costato 5 milioni, ma solo il pianoterra che ospita il materiale archeologico proveniente dalla città di Reggio Calabria e dal suo territorio.
Lo spettacolo che si para davanti agli occhi del visitatore è quello di una serie di sale spoglie, prive di pannelli esplicativi alle pareti, con le vetrine riempite di oggetti antichi che non sembrano esser ancora pronti per essere esposti. I reperti non hanno, quasi mai, supporti e cartellini esplicativi dai quali evincerne la provenienza, la datazione e la funzione; i cartellini, quando ci sono, sono solo foglietti di carta vergati a penna; alcuni oggetti sembrano, addirittura, impolverati e, per dirla tutta, sembrano ficcati in fretta nella prima vetrina vuota da qualcuno che ha dovuto farlo di malavoglia.
33 milioni di euro di danaro pubblico e sei anni di lavoro non erano, forse, più che sufficienti per permettere una riapertura completa e definitiva di uno dei più importanti Musei archeologici d’Italia? Non si sarebbe dovuto riaprire il Museo dei Bronzi con la giustificata enfasi che si dovrebbe attribuire al ritorno al godimento dei visitatori di quello che, da tutti, è considerato il maggior attrattore di turismo della regione? Dovremo sentirci dire da Vittorio Sgarbi che aveva ragione a voler portare i Bronzi a Milano? La classe dirigente di questa terra, 'In primis" il presidente Oliverio, non avrà, ancora una volta, nessuna voce in capitolo, anche se la Regione Calabria ha cofinanziato l'opera con ben 5 milioni di euro dei contribuenti calabresi?
Il giovane e bravo sindaco di Reggio Calabria lo sapeva e, soprattutto, non ha alcun commento da rilasciare a proposito della riapertura, nel tono e nella sostanza così dimessi, del più importante nucleo culturale e turistico della sua città?
Le associazioni culturali e politiche, i sindacati, gli intellettuali, i partiti, i movimenti (più o meno stellati), la sedicente "società civile" non hanno, non avranno, nulla da dire, da eccepire, da stigmatizzare? Non si dovrebbe chiedere, a gran voce e tutti insieme, di riavere il Museo, dopo sei annidi lavori, con tutte le sue sale e tutte le sue collezioni finalmente visitabili? Non si dovrebbe chiedere come sia stato possibile riaprire il Museo in queste condizioni e chi ne ha dato il permesso, visto che, a molti mesi dalla discussa e discutibile riforma Franceschini, non è stato ancora scelto il dirigente che dovrebbe guidare il Museo di Reggio?
Come ho scritto a più riprese, bisogna che come cittadini, come popolo di questa terra si abbia, tutti insieme, come principale obbiettivo e alta ambizione il recupero pieno del patrimonio storico, archeologico e paesaggistico della Calabria, ma temo che la mia sia solo una "vox clamantis in deserto".
*docente unical. Questo articolo, già apparso sul Quotidiano del Sud, viene qui riproposto con l'esplicito consenso dell'autore.