Per favore non toccate Garibaldi

Per favore non toccate Garibaldi
garibaldi   Garibaldi fu per l’Ottocento quello che Guevara fu per il novecento. Un guerrigliero, coraggioso, onesto, generoso, con l’idea fissa dell’autodeterminazione dei popoli e della libertà. Privo di capacità politiche, sognatore e visionario,  sfornito di realismo e praticità, obbediente fino all’ultimo al suo immenso e sentimentale amore per l’idea di Patria. Romantico fino al melodramma, ma autentico, come dimostra il suo corpo anchilosato da dozzine di ferite subite nella sua esistenza avventurosa.

Un trascinatore, più che un generale. Un esemplare uomo di guerra e di battaglia, petto in fuori e sciabola in pugno, negli assalti in prima linea, nei contrattacchi furenti, negli ordini urlati con la sua voce tonante. Le sue numerose biografie rivelano un carattere bonario e spiritoso, umile e ingenuo fino al candore. Ma quando si scatenava la mischia, Peppino Garibaldi si trasformava nell’unico autentico guerriero mai espresso dalla nostra pacifica stirpe. Corteggiato dalle nazioni (Lincon voleva affidargli il comando di un’armata durante la guerra di secessione, i francesi e gli inglesi se lo contendevano) lui preferiva pensare ai popoli, alle rivoluzioni, ai deboli.

Strategicamente e tatticamente non era raffinato, anzi. Contava più sul coraggio e sulla dedizione dei suoi. Attacchi all’arma bianca con in petto quel desiderio atroce di vincere, di battere il nemico spesso superiore di forze: cariche con la baionetta innestata e la paura della morte relegata in un cantuccio. “Attaccare alla Garibaldina”, un forma guerresca che è entrata nei dizionari della lingua Italiana e non solo.

Biondo e barbuto, il poncho come forma di reazione alle divise, le pistole Colt regalategli dall’inventore in persona, il cavallo bianco e la fidata guardia del corpo (un uruguayano temerario, Ignacio Bueno, e un gigantesco nero, Aguyar, dedito fino alla morte), Giuseppe Garibaldi è stato l’unico italiano che dalle parole passava ai fatti in un baleno. L’impresa dei Mille, con la quale spazzò via il tarlato regno Borbonico e compì quell’Unità tanto inseguita dalle menti più illuminate, se da una lato venne favorita da maneggi massonici e scambi di quattrini, dall’altro dimostrò al mondo che gli italiani erano anche capaci di combattere, e di morire, per la Patria. Per tutta la sua esistenza da condottiero Garibaldi gabbò militari di carriera  e generali tatticamente preparatissimi: la sua capacità d’improvvisazione, l’esempio e l’abilità nelle imboscate, nelle finte, nelle marce forzate, nelle cariche, sono ancora oggi un modello per chi sfida i più forti.

L’impresa conclusa a Teano fu solo una delle innumerevoli dell’eroe. Dalla latitanza (disertore per il tradimento del Piemonte nella prima guerra d’indipendenza)alle imprese di navigatore, a quelle di  volontario combattente per l’Uruguay, la resistenza nella Repubblica Romana, la formazione di corpi armati (La Legione Italiana, i Cacciatori delle Alpi) che diedero filo da torcere ai nemici, dai suoi tentativi poi di liberare Roma (ferito proprio in Aspromonte), fino al ritiro a Caprera da dove osservava crescere un Italia che non gli piaceva e che contestava, la sua fu una vita da eroe e da uomo grande, sopra le righe, a cui dovrebbe andare la riconoscenza eterna dei popoli del Sud, che gli devono, comunque, il miglioramento delle loro condizioni e l’attuale stato di civiltà.

La “contro-storia” molto alla moda, permeata di falsità e di revisionismo – barzelletta che produce incassi, la solita irresponsabilità di un popolino greve e dall’istinto tribale, l’ignoranza sublime della cultura fai-da-te, l’autopromozione a “storico” di alcuni furbastri massmediologi, ne hanno offuscato la figura e, per pura volontà di contrasto effimero, cercato d’intaccare la grandezza.

Ma, spogliati di ogni sovrastruttura rabbiosa e populista, i ragionamenti restano solo ciò che sono: pettegolezzi di vecchie zitelle biliose, dominati dall’imponenza della sua dimensione storica, sovrastati dal coraggio imperioso e dalla generosità audace di un uomo, Giuseppe Garibaldi, che è stato il nostro Eroe e al quale dobbiamo tutto ciò che oggi possediamo, compresa la possibilità di criticarlo gratuitamente, e di lagnarci senza tregua.

Giuseppe Garibaldi morì in volontario esilio a Caprera, senza esser mai diventato ricco, preda di numerosi acciacchi e gonfio d’amarezza, presago forse dell’irriconoscenza futura, e volle farlo guardando per l’ultima volta il sole sul mare, vecchio e irriducibile romantico, da Italiano, parola che lo commuoveva.

E questo dovrebbe bastare. Per favore, non toccate Garibaldi.