La vita è come una musica complessa, scritta sul filo del tempo usato come uno spartito e che non può che concludersi, come tutte le cose umane, con la morte. Eppure, ognuno di noi ha il suo sistema per sfuggire alla signora con la gonna lunga e nera e la falce. C’è chi preferisce la riproduzione all’estinzione, il nostro amico: scrive. Questo è il suo modo per sfuggire alla morte e come scrive egli stesso nella quarta di copertina “adopero l’inchiostro della penna per depennarmi dalla lista trapianti della morte”. Così tra uno spartito e l’altro cammina: una passeggiata che dura nove mesi, una gestazione (tanto il tempo per scrivere il libro) e ci porta nelle vie cittadine del centro e della periferia, attraverso marciapiedi olezzanti, bellezze nascoste e tramonti come spettacoli pubblici.
L’autore racconta le sue derive di cogitazione, i voli pindarici con rigore scientifico, segue il flusso di coscienza attraverso i mille interrogativi tentando risposte, coinvolgendo anche il lettore in questo processo, sollecitandolo quasi a prendere parte alla sua conversazione privata. “Sorprende e illumina senza mai trascurare il grande gusto per il sorriso. Per la risata. Desacralizzare è il suo paradigma. E allo stesso tempo elevare a potenza ogni molecola di questa sporca esistenza” così ci racconta Antonio Calabrò nella sua prefazione anzi insiste “Affonda le sue parole nella carne morbida della stupidità collettiva ma con l’intento di estrarne significati di portata decisiva. Adopera il potere atomico della sua prosa con l’abilità di un genetista del linguaggio”. È un maestro dell’arte della gestione della subordinata, non la colf intendo, ma proprio la proposizione. Senza mai perdere il filo o farlo perdere, gestisce il periodo abilmente nelle sue varie parti, divincolandosi tra incidentali, relative, concessive, limitative come un perfetto direttore d’orchestra tiene le fila del discorso e lo porta con successo al gran finale.
È anche un maestro della pausa, come ogni scrittore che si rispetti e musicista di pregio, sa che molto va sottinteso, taciuto o detto sottovoce, così la sua scrittura prende fiato e sa divertire e sa farci sorridere complice la lezione di Campanile e un connaturato istinto alla sdrammatizzazione.
Gli argomenti che tratta sono i più svariati, dalle problematiche minime esistenziali alla validità ontologica di un ostia senza glutine, passando dai suoi filosofi preferiti e gli scrittori amati. Ha molti riferimenti questa sua ricerca: sono gli autori, pittori, musicisti, poeti, filosofi, economisti, cantanti, riferimenti colti e comuni, che partecipano in egual misura e identico entusiasmo a questo dibattere. Sarebbe lungo elencarli tutti ma sicuramente alcuni tributi andranno fatti a Umberto Eco per lo stile colto e disincantato, a Jorge Luis Borges per il suo rapporto con i libri e il tempo, Frank Zappa per un suo certo modo di essere diretto e tra le righe e questi solo a titolo esemplificativo. In realtà ogni pagina contiene frammenti di altri libri, altre persone, reminescenze, senza scordare poi che Carlo Menga è un poeta e la poesia si insinua tra le righe di questa prosa, che sa essere perfino feroce, ma sa anche lasciare colmo di stupore il lettore per questo poetico e inaspettato risvolto.
*Carlo Menga, Discanto per voce sola, Città del sole, 12 euro.