molti dirigenti del PD dovrebbero leggere in una fase dove si agitano addirittura nuovi venti di scissione) sono forse altre e chiamano in causa la natura stessa dell’elettorato del M5S.
Parliamo di quel 15-16% che nei sondaggi dichiara la sua intenzione di voto per questo partito. Questi elettori sono oramai, in gran parte, ex elettori della sinistra. Nel 2013 e nel 2018 i grandi successi del M5S furono il frutto di un afflusso trasversale di voti. A partire dal 2019, gli elettori che venivano da destra, a
destra sono tornati, attratti dalla sirena di Salvini e ora da quella di Giorgia Meloni o del redivivo Tajani.
Se ne potrebbe dedurre, allora, che proprio per queste caratteristiche, l’attuale potenziale elettorato del M5S sia più disponibile ad un accordo politico con il centro-sinistra. Ma la cosa non è così semplice, anzi.
Questi elettori ex di sinistra sono giunti al M5S – suggerisce il prof. Siculo Toscano - sulla base di una radicata e profonda rottura con il Pd e qualcuno, dentro il Pd, tende a dimenticarsi di quei sei milioni di elettori che sono scappati a gambe levate dal Pd, spesso con un grande carico di risentimento, con la percezione di essere stati abbandonati. È un esodo che non ha precedenti nella storia elettorale italiana, e il Pd non ne ha mai veramente discusso. Ma questo è un altro ragionamento.
Floridia ci dice che gli storici del futuro daranno un merito al M5S: quello cioè di aver dato una sponda comunque democratica, a questi elettori in fuga dalla sinistra “istituzionale”. Populismo? Certo, ma ci sono molti tipi diversi di populismo: quello del M5S, se si vuole anche casualmente, ha assunto una veste popolare, azzardiamo “progressista” (non ce vogliano i puristi del Partito Democratico). Non era in ogni caso un fatto scontato: in altri paesi la rottura e la crisi delle basi sociali della sinistra hanno infatti portato direttamente consensi al populismo di destra.
Dove sta la verità? Stavolta credo non stia nel mezzo: il M5S è una forza anomala, un partito davvero post-ideologico, che si fonda su una forte leadership personale, e che non è molto interessato ad una visione strategica di ampio respiro, con un elettorato anche volatile e un basso livello di identificazione,
come mostra la scarsa tenuta nelle elezioni locali. Con molto ottimismo per le prospettive della sinistra (o del centrosinistra che dir si voglia), Floridia conclude il suo ragionamento (molto piu’ articolato di quanto si pensi) così: Conte, con il suo atteggiamento, mostra di avere soprattutto a cuore il problema di “tenere” i suoi elettori, non tanto quello di sottrarne al Pd. Il suo problema è, innanzitutto, quello di consolidare il suo elettorato. Il carico di diffidenza e di ostilità verso il Pd (a torto o a ragione) è ancora molto diffuso: la ricucitura di questa disconnessione sentimentale è un lavoro di lunga lena e sarebbe illusorio pensare che si possa recuperare a breve termine una frattura profonda, maturata nel corso di un intero decennio. In Calabria questo ineludibile rapporto è del resto già in atto e con risultati fecondi: pensiamo solo alle Giunte comunali di Cosenza e Catanzaro dove Pd e 5 Stelle governano assieme (con
altre forze di sinistra peraltro) e nessuno se ne lamenta.
Pensiamo inoltre al percorso avviato per le imminenti elezioni comunali di Corigliano-Rossano (seconda città della Calabria e non un borgo qualsiasi). Certo che è stato ed è un processo lento ma tuttavia ora i tempi cominciano a stringere e una coalizione politica nazionale che superi il 40% potrà nascere solo sulla base di un riconoscimento reciproco, su un patto programmatico serio e innovativo. I nostalgici di una malintesa “vocazione maggioritaria”, sentenzia sempre il nostro prof, se ne facciano una ragione. La strada è tracciata. Altre vie al di fuori di questa difficile e ardua intesa non se ne intravedono, a meno che
appunto non si lavori per nuove rovinose scissioni a sinistra.