REGGIO. Commissari addio. Restano debiti, mafie, tributi. Storia di una città in crisi. LABATE

REGGIO. Commissari addio. Restano debiti, mafie, tributi. Storia di una città in crisi. LABATE

pro      di CLAUDIO LABATE* - «Previa relazione del Ministro dell’interno, il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo scioglimento, ai sensi della normativa antimafia, del Consiglio comunale di Reggio Calabria e ha disposto il commissariamento dell’Ente affidandone la gestione ad una commissione straordinaria per la durata di 18 mesi. Questa eserciterà le funzioni spettanti al Consiglio comunale, alla Giunta e al Sindaco, fino all’insediamento degli organi ordinari».

Era il 9 ottobre del 2012. Il Consiglio dei Ministri, appena congedatosi dalla riunione, diramava il consueto comunicato per gli organi di stampa, affidando a poche righe, l’ennesimo record negativo in capo alla città della Fata Morgana. Reggio, d’altra parte, era, ed è tutt’oggi, il primo capoluogo di provincia sciolto per mafia. Anzi, per “contiguità alla ‘ndrangheta”. Lo scioglimento arrivò al termine di un lungo iter. Il prefetto Vittorio Piscitelli condensò in circa 200 pagine il lavoro svolto da gennaio a luglio del 2012 dalla Commissione d’accesso caldeggiata dal predecessore Luigi Varratta. La “Relazione” arrivò sul tavolo dell’allora ministro tecnico Annamaria Cancellieri che proprio il 9 ottobre tenne la conferenza stampa per comunicare la notizia. «Un provvedimento adottato con molta sofferenza» ma all’unanimità, disse alla stampa la titolare del Viminale, che parlò di azione di «alta amministrazione che non è contro la città, ma preventivo e non sanzionatorio». Un atto «per aiutare i cittadini di Reggio», «a difesa della collettività», per poter dare rilancio e sviluppo a Reggio. Parole importanti queste che fanno il paio con le rassicurazioni che diede in un secondo momento. «Il Comune ha un buco notevole – aggiunse – abbiamo adottato una norma pre dissesto che va bene per Reggio. Saremo molto vicino alla città di Reggio. Anche come governo abbiamo preso l’impegno per mettere a disposizione tutti gli strumenti necessari e possibili per fare risorgere la città e speriamo che non si debba dichiarare il dissesto. Il primo impegno della Commissione è di lavorare perché non avvenga. C’è un impegno forte da parte nostra. Reggio sappia che lo facciamo per Reggio, un atto di rispetto per la città».

Momenti di tensione

Reggio piombò al centro di un dramma politico sociale che ancora oggi mostra i suoi inevitabili strascichi. Da lì a poco sarebbe iniziato il processo scaturito dal cosiddetto “Caso Fallara” che portò sul banco degli imputati l’ex sindaco Giuseppe Scopelliti, poi condannato, a marzo scorso, a sei anni per abuso di ufficio e falso in atto pubblico con l’interdizione dai pubblici uffici. Ma la città era lacerata nel corpo sociale. Con una dialettica politica che nei mesi precedenti aveva raggiunti livelli inaccettabili, dall’una e dall’altra parte, e che non accennava a scendere di tono. Divisa com’era tra coloro che invocavano la dichiarazione di dissesto e coloro che la abiuravano.

Il caso Reggio, l’ennesimo, tornava sulle prime pagine dei media nazionali e faceva da copertina ai più seguiti talk show televisivi. Mentre montava la polemica sulle motivazioni più o meno politiche che avevano spinto un governo tecnico ad assumere una così grave scelta.

Tre giorni dopo la decisione dello scioglimento, il 12 ottobre, si insediò a Palazzo San Giorgio la Commissione straordinaria guidata dall’ex prefetto di Crotone, Vincenzo Panico, e composta dal vice prefetto Giuseppe Castaldo e dal dirigente di servizi ispettivi di finanza pubblica Dante Piazza, «commissario altamente specializzato» disse la Cancellieri, che avrebbe dovuto evitare il dissesto. Cosa che con l’adozione del Piano di rientro pluriennale avvenne, anche se Piazza scomparve poi dalla circolazione. Al suo posto arrivò in città Carmelo La Paglia. Ma non fu l’unico ad essere sostituito. Nell’estate del 2013 partì da Reggio anche Panico, sostituito, solo ad ottobre, da Gaetano Chiusolo.

A febbraio di quest’anno il ministro Angelino Alfano dispose la proroga del Commissariamento «al fine di consentire il completamento delle operazioni di risanamento delle istituzioni locali».

A cosa è servito?

Il biennio commissariale appena concluso, ne siamo certi, sarà oggetto di profonde valutazioni. Politiche e tecniche. Il punto è che sulla legge che dispone lo scioglimento e il conseguente commissariamento e il “caso Reggio”, va fatta una valutazione che sia scevra da qualsiasi tipo di condizionamento partitico. Di certo, ad oggi, è maturata una convinzione condivisa dai più, e cioè che così come è concepito non serva a molto.

Anche perché se è vero che da una parte è stata evitata la dichiarazione di dissesto, bisogna anche calcolare a che prezzo per la popolazione questo sia avvenuto. E ciò non significa assolutamente che il dissesto avrebbe procurato meno macerie. Ma la situazione in cui versa la città di Reggio è sotto gli occhi di tutti. Sono stati due anni difficilissimi che hanno messo Reggio in ginocchio, facendola diventare una vera e propria polveriera.

Al di là di regolamenti, intese e protocolli, la gestione della città è stata affidata alla burocrazia del Palazzo. Uscitane, a conti fatti, rafforzata e per certi versi premiata, anche economicamente. Eppure l’acqua manca, le strade sono un colabrodo, le emergenze relative ai rifiuti rimangono, gli appalti, spesso viziati da incomprensibili scelte, sono andati a rilento. E poi ancora le opere ferme, il decreto Reggio abbandonato alle sue lungaggini, e soprattutto i nodi irrisolti relativi alle società miste, al Mercato agroalimentare, alla Peo, non possono non finire sotto la lente d’ingrandimento di un giudizio che si rivela come negativo da tutti i punti di vista. Basti pensare che quelle erano le criticità che hanno generato lo scioglimento alla fine torneranno ad essere gestite dalla politica, la grande imputata.

*giornalista del Garantista della Calabria