di ISAIA SALES* -
L'Expo è partito. In bocca al lupo. Di cuore. Auguriamo a Milano e all'Italia di riscuotere quel successo di pubblico e di critica che si aspettano. E che, soprattutto, si apra nel nostro paese una discussione di massa sui temi ambiziosi scelti per questa edizione (Nutrire il pianeta. Energia per la vita).
È indubbio, tuttavia, che la vicenda dell'Expo non può essere guardata e giudicata solo per come andrà dal primo maggio in poi. Essa va analizzata nei 9 anni trascorsi dalla sua ideazione e nei 7 occorsi per la realizzazione, perché è in grado di dirci molto di ciò che è avvenuto attorno alla realizzazione di una grande opera pubblica nel cuore del settentrione, del livello di moralità (e di corruzione) di una parte delle classi dirigenti politiche, amministrative ed economiche del Nord, del livello di radicamento delle mafie in quei territori. E non sono argomenti secondari o da dimenticare dopo il primo maggio.
Insomma l'Expo di Milano, se ben interrogata, ci parla dell'Italia contemporanea e del rapporto Nord-Sud più di qualsiasi altro avvenimento recente della nostra storia. Essa ha lo stesso valore emblematico (per farci capire il Nord e le sue classi dirigenti) di quello che ebbe la ricostruzione del post terremoto del 1980 in Campania e in Basilicata nel fissare il giudizio dell'opinione pubblica italiana sulle classi dirigenti del Sud. Perché indubbiamente alcune opere pubbliche hanno segnato e segnano la storia d'Italia. E se la costruzione dell'autostrada del Sole (la Napoli-Milano) rappresentò lo sforzo di unire e avvicinare il Paese anche dal punto di vista infrastrutturale, l'Expo è stata ideata e realizzata nel periodo di maggiore distanza politico e culturale tra Nord e Sud.
Infatti con l'apertura dell'Expo si può dire che si chiuda un lungo ventennio di egemonia politico-culturale del Nord del Paese.
Un ventennio nel quale i governi nazionali sono stati caratterizzati quasi esclusivamente da esponenti politici centro-settentrionali, un ventennio dominato dal tema della divisione territoriale ammantata di federalismo, un ventennio nel quale per giustificare questo dominio (una specie di vera e propria dittatura sull’opinione pubblica nazionale) si è calcata la mano come non mai sul tema dell’inefficienza e del malgoverno meridionale. E stato il ventennio dell’accoppiata Berlusconi-Lega, cioè del potere politico, economico e finanziario della borghesia settentrionale. L'Expo non è altro, dunque, che la fotografia di questo potere, per cui analizzare la storia della sua ideazione e costruzione ci aiuta a fare un'istantanea dei valori, delle idee, degli interessi di questa parte del paese nel periodo in cui massimo è stato il crollo della considerazione dei problemi meridionali.
L'Expo somiglia alle classi dirigenti del Nord più di quanto si voglia far credere. Il lungo ventennio che abbiamo alle spalle (e di cui l'Expo è l’opera pubblica per eccellenza) comincia con la caduta dei partiti della prima repubblica ad opera di Tangentopoli, cioè parte proprio da quella Milano che da capitale del malaffare diventa nel giro di poco tempo il centro della fase nuova della politica italiana. Il 1992 è l’anno della prima vittoria elettorale della Lega di Bossi ed è anche l’anno della chiusura definitiva dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno.
In questo ventennio le due cose si terranno sempre insieme: il successo dell'asse Berlusconi-Lega e la scomparsa della questione meridionale dalle questioni identitarie della nazione.
Con la fine dell'intervento straordinario il Sud perde centralità senza che siano stati risolti i suoi problemi, mentre comincia un'ossessiva attenzione di tutti (stampa, televisioni, editoria, partiti, centri culturali ed economici) verso il «malessere» del Nord, esploso con il voto di massa alla Lega, e con la conquista di Milano da parte di un suo sindaco. Il malessere si trasformerà in insofferenza verso il Sud e i suoi problemi.
La distinzione tra prima e seconda repubblica si manifesterà lungo l'asse Nord-Sud, perché se nella prima repubblica è lo sforzo di risolvere i problemi del Meridione a caratterizzare in parte le strategie della Nazione, nella seconda sarà la questione settentrionale a monopolizzare l’attenzione del mondo politico, culturale e imprenditoriale. È questa la tesi netta sostenuta in un interessante saggio di Filippo Sbrana (Nord non chiama Sud. Genesi e sviluppi della questione settentrionale. 1973-2013) che condivido pienamente.
E non ci si limiterà ad accantonare i problemi di un terzo dell'Italia in nome di un' altra priorità, ma si pretenderà di giustificare il disinteresse attraverso il sostegno di un vero e proprio apparato ideologico i cui assi principali vertono sull'inutilità dell'intervento dello Stato in economia, sugli aiuti al Sud come spreco di denaro pubblico, sulla irrimediabilità della situazione economica e sociale meridionale a causa di tare culturali e civili della sua popolazione, sul dominio totale delle mafie, sulla bassissima qualità delle sue classi dirigenti, sul!' assoluta inefficienza della sua burocrazia. E ci si accorge che I' antimeridionalismo rende sul piano elettorale, al punto che oltre alla Lega anche i partiti di sinistra proveranno a investire su questo sentimento rancoroso.
L'Expo di Milano è arrivata a conclusione di questo lungo ciclo politico. Essa doveva dimostrare la laboriosità, l’efficienza e la serietà dei milanesi e, più in generale, dei settentrionali, e dimostrare al mondo che l'Italia vera non aveva niente a che fare con l'infingardaggine e l'inefficienza meridionale, né tantomeno con il dominio delle mafie.
Era il volto di un'altra Italia che si voleva presentare al mondo, distante geograficamente, culturalmente e civilmente dal suo lato meridionale. Da questo punto di vista l'insuccesso è clamoroso. Il numero di scandali scoppiati lungo gli anni della sua realizzazione, le numerose inchieste della magistratura sugli appalti, gli arresti continui tra le ditte, i politici e i funzionari preposti, le impressionanti misure interdittive antimafia adottate (più di 60, più che in qualsiasi opera pubblica realizzata in Italia, più di quelle adottate sui lavori per l'ammodernamento della
Salerno-Reggio Calabria) il coinvolgimento in operazioni affaristiche, clientelari e criminali dei vertici della Regione Lombardia e del cuore del sistema imprenditoriale, i lavori non completati rispetto alle previsioni iniziali, ci dicono che l'Expo di Milano è da contemplare tra le opere pubbliche che hanno registrato il più alto numero di reati. E che Milano è a tutti gli effetti una capitale della corruzione, una città a forte presenza mafiosa, un luogo in cui clientela ed inefficienza vanno a braccetto. Milano è solo questo? Assolutamente no, certo che no. Ma neanche il Sud era tutto quello che si è teorizzato e scritto in tutti questi anni di egemonia settentrionale.
L'Economist ha scritto che le performance economiche dell'Italia sono state le peggiori al mondo nel periodo di dominio dell'asse Berlusconi-Lega. La centralità della questione settentrionale non ha aiutato la nazione a crescere di più, anzi ha peggiorato tutti i dati economici pre-1992. E tempo di una riflessione seria delle classi dirigenti di questo Paese. L'Italia che si è ristretta al Nord, che si è chiusa nei suoi confini, non è un'Italia migliore rispetto a quel Sud che si è abbandonato al suo destino.
Anche per la Germania il 1992 è stato un anno spartiacque: è cominciata concretamente la ricostruzione dell'ex Ddr. Due nazioni, due scelte diverse, due esiti differenti: l'Italia chiusa nel fortino centro-settentrionale è peggiorata al punto da essere un'osservata speciale in Europa, la Germania che si è aperta al suo Sud è la prima nazione europea grazie a quella scelta.
Tra i tanti temi su cui l'Expo ci invita a riflettere, non sarebbe male includere anche questo.
*questo articolo di Isaia Sales (saggista, professore di Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno d'Italia, ex parlamentare) è apparso sul Mattino e viene qui riproposto con l'autorizzazione dell'autore.