di DOMENICO MARINO*
- Quando si parla di incentivi reddituali bisogna distinguere il reddito di cittadinanza dal reddito di inserimento sociale e dal salario d’ingresso e spiegare se si vuole intervenire sulla povertà assoluta o sulla povertà relativa.
In Italia il livello di povertà assoluta è del 7,4% delle famiglie, mentre quella di povertà relativa è del 12,7%. In Calabria la povertà relativa è del 27,4% delle famiglie e nel Mezzogiorno (l’Istat non pubblica i dati di povertà assoluta su base regionale) la povertà assoluta è pari al 12,6% delle famiglie.
Una misura di reddito di cittadinanza costerebbe in Italia dai 100 ai 150 miliardi di euro l’anno e ben difficilmente queste somme si possono reperire nei bilanci pubblici dei prossimi anni e in Calabria costerebbe 4 miliardi di euro per anno.
Un reddito di inclusione sociale diretto ai disoccupati e alle famiglie in condizione di povertà assoluta costerebbe fra gli 8 e i 10 miliardi di euro e potrebbe, a certe condizioni diventare sostenibile in Italia, soprattutto se diluito in più annualità o se legato ad una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali. In Calabria un simile strumento costerebbe dai 400 ai 500 milioni di euro e sarebbe ugualmente insostenibile per le casse regionali
La conferenza stampa del Consigliere Regionale Nucera e la sua proposta di legge sul reddito di cittadinanza lasciano l’amaro in bocca perché un tema così importante come il sostegno reddituale alle fasce deboli viene trattato con troppa approssimazione e con un impianto legislativo che di fatto rende inapplicabile la legge per carenza di risorse.
La platea degli aventi diritto, se fosse approvata la legge proposta dal consigliere Nucera (dato basato sulle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2013), sarebbe in Calabria di circa 550.000 persone con un fabbisogno finanziario che si aggira sui 4 miliardi di euro per anno. Senza contare gli effetti perversi di uno schema di incentivo che di fatto porterebbe all’occultamento dei redditi per accedere al sussidio. Inoltre non viene posto nessun limite temporale all’incentivo.
Se questa legge venisse approvata per come è scritta tutti gli studenti universitari diventerebbero ope legis percettori del reddito minimo, con il solo onere di andare al centro per l’impiego. Ma, cosa più grave, anche il figlio di un miliardario ne avrebbe diritto, purché momentaneamente disoccupato, perché il criterio di reddito richiesto è individuale e non familiare.
Inoltre il vincolo dei due anni di residenza darebbe origine ad una immigrazione che potremmo definire “turismo da incentivo”. Molti trasferirebbero la residenza in Calabria per beneficiare dopo due anni del reddito minimo. Inoltre chi beneficerebbe una volta dell’incentivo lo manterrebbe per tutta la vita e addirittura lo vedrebbe rivalutato ogni anno. Molto meglio che una pensione! A rimanere fuori da questo “Paese del Bengodi” sono invece i pensionati che, anche se sotto la soglia di reddito, non avrebbero diritto ad accedere al sussidio.
L’unica proposta sensata in Calabria è quella del salario di ingresso, ossia di un incentivo reddituale a coloro che sono in cerca di occupazione, che sarebbe compatibile con il Regolamento del Fondo sociale e avrebbe una platea limitata. Molto interessante in questo senso è la proposta elaborata dal Dipartimento Lavoro della Regione Calabria che prevede un impegno sul Fondo Sociale Europeo per 150 milioni di euro per raggiungere una platea di 20.000 disoccupati a cui fornire un reddito di 700 euro mensili per sei mesi.
Il mio suggerimento in proposito sarebbe quello di aumentare la durata a 12 mesi riducendo la platea dei beneficiari e corredando il sussidio con un voucher formativo e un credito d’imposta per l’impresa che assume. Durante un ciclo programmazione si potrebbero raggiungere tutti i potenziali beneficiari.
Ma questo è completamente diverso da quanto scritto nella proposta di legge del consigliere Nucera, anzi direi quasi antitetico, e ciò conduce a due considerazioni.
La prima è che i politici prima di scrivere le leggi dovrebbero consultare i tecnici e la seconda è che ogni proposta di legge, a pena di inammissibilità, dovrebbe essere corredata da una relazione economico-finanziaria che ne dimostri la copertura.
Questo per evitare che strumenti utili e necessari come il reddito di inserimento sociale non possano essere poi applicati perché le norme sono scritte male o sono inapplicabili.
*Prof. di Politica Economica, UniMediterranea