di FILIPPO VELTRI
- In questi ultimi mesi il Mezzogiorno è totalmente scomparso dalla scena nazionale. I riflettori si sono spenti e questa parte del Paese è letteralmente scomparsa dall’agenda politica nazionale. Questo dato di fatto e’ ormai passato nel senso comune dell’opinione pubblica non solo nazionale, ma ha travalicato i confini del nostro paese finendo con l’essere – ad esempio – un mantra del prestigioso periodico Economist.
Perche’ sta accadendo tutto questo? Perché’ anche questo Governo a guida democratica si sta contraddistinguendo per una più o meno totale assenza di interventi concreti per cercare di ribaltare questo stato di cose?
Sentite cosa dice, ad esempio, il Presidente della nostra Regione, Mario Oliverio: spesso l’inadeguatezza della classe dirigente meridionale è stata utilizzata per rapinare e marginalizzare il Mezzogiorno e per dislocare le risorse destinate al Sud e rimaste inutilizzate in altre aree del Paese. E’ mancato e continua a mancare il dialogo. Nell’assenza di dialogo tra Sud e resto del Paese c’è un problema che presenta due facce. La prima riguarda la necessità di far ripartire il Paese e anche l’Europa. Non è più possibile continuare a dividerci sui mille immigrati in più o in meno da accogliere, mentre i paesi forti del mondo come Stati Uniti, Cina, Brasile, Giappone continuano ad investire in questa realtà. La seconda faccia della medaglia riguarda noi stessi, la capacità di essere credibili e, quindi, di avere “le carte in regola” per diventare interlocutori affidabili a livello nazionale ed europeo.
In Calabria si parla ora, da alcuni mesi, di un patto tra le forze sociali di questa terra. Quel patto di cui abbiamo scritto più volte si allarga e trova nuovi adepti (recentemente ne ha, ad esempio, parlato Grazioso Manno). Ebbene: quel patto è una premessa fondamentale (ma non sufficiente) per affrontare una condizione difficile come la nostra. Ce la possiamo fare cioè solo se il nostro lavoro diventa espressione di un fronte largo di energie ed ognuno assume le proprie responsabilità per costruire una prospettiva diversa e migliore, confrontandosi con i dati recenti complessivi del sud che ci indicano uno stato dell’arte disastroso.
Il Pil pro capite scende a 17,2 mila euro. Si tratta di un livello inferiore del 45,8% rispetto a quello della media del Centro-nord; la spesa per i consumi delle famiglie risulta pari a 18,3 mila euro per abitante nel Centro-nord e si ferma a 12,5 mila nel Mezzogiorno. Scrive l’ex premier Romano Prodi: non solo siamo di fronte a differenze intollerabili ma a differenze che tendono a crescere, dato che le cadute di occupazione più pesanti durante tutto il periodo della crisi sono state proprio nel Mezzogiorno.
I dati elencati sono, dunque, sufficienti per sottolineare il dovere di riportare il problema del Mezzogiorno al centro della nostra attenzione, dopo vent’anni durante i quali esso è uscito dalle priorità della politica italiana. Un’uscita figlia della rassegnazione perché, anche limitandoci al dopoguerra, le abbiamo proprio provate tutte.
Dal 1950, quando De Gasperi diede vita alla Cassa del Mezzogiorno, fino al 1984, quando fu soppressa, si pensava che l’intervento dello Stato centrale fosse sufficiente per riequilibrare le drammatiche differenze territoriali. A quelle dello Stato centrale si sono alternate le competenze delle amministrazioni regionali che, tuttavia, non sono state nemmeno in grado di utilizzare i fondi resi disponibili dalle nuove politiche dell’Unione europea.
L’aver sciupato l’occasione dei fondi europei rende a tutti evidente che anche la disponibilità di maggiori mezzi finanziari non è sufficiente per avviare una prospettiva di crescita e innovazione.
Il problema, perciò, e’ quello di agire - qui e a Roma - con idee nuove e una nuova più credibile classe dirigente. Ma in fretta per favore, non con i tempi del viadotto Italia, per carità!