di MASSIMO ACQUARO
- E’ uno schema noto. Si diceva: Reggio è troppo grande per scioglierla per mafia. Un capoluogo di provincia commissariato per infiltrazioni? per carità, una cosa mai vista. Solo sulle pagine di zoomsud, il Suo giornale caro Direttore, si poteva leggere che bastava l’arrivo della commissione d’accesso a palazzo San Giorgio - dopo lo scandalo delle società miste - per segnare in modo irreversibile il destino di Arena & co.
Era un piano inclinato. Chi si sarebbe mai preso la responsabilità di dire che le inchieste della Procura non provavano che la ndrangheta la faceva da padrona negli uffici del Comune? Nessuno, e infatti le cose sono andate come tutti sappiamo: un fallimento amministrativo completo, un buco nero che rischia di affondare anche il giovane Falcomatà: talmente grande che il governo ha persino risarcito Reggio con risorse aggiuntive scusandosi di fatto del pasticcio combinato con la terna commissariale.
Bene, a Roma la situazione è identica. Filtrava da mesi la notizia del terremoto giudiziario tra i colli romani e al verificarsi del sisma è subito partito l’accesso degli ispettori ministeriali chiamati a verificare le infiltrazioni mafiose al Campidoglio.
Ad appena due settimane dalla consegna della relazione nelle mani del prefetto Gabrielli una seconda ondata di arresti (per corruzione, non per mafia come ha ricordato il presidente Grasso in un’intervista televisiva) ha sugellato la tesi dell’occupazione mafiosa della capitale d’Italia.
Certo non tutti - quasi tutti ma non tutti - sono disposti a credere al fatto che Carminati sia il “re di Roma” (intercettazione inabissata dopo i clamori iniziali e mai più tirata fuori per evitare incredulità). Qualcuno si domanda a Roma quando sarà il turno della grande politica, degli affari miliardari della sanità, degli armamenti, degli appalti ministeriali, della spartizione massonica degli incarichi e se davvero Buzzi & Carminati siano il problema del malaffare romano visto che rubavano frazioni centesimali di un bilancio comunale più grande di quello di decine di nazione al mondo.
Ma la sequela era chiara. Consegnare agli ispettori ministeriali pacchi di carte a pochi giorni dalla stesura della relazione finale ha equivalso a mettere un sigillo sulla questione. Ora il cerino, come successe a Reggio, è passato nelle mani dell’ottimo prefetto Gabrielli il quale – si dice – in solitudine formulerà la propria proposta al ministro Alfano e lui al Governo.
Intanto tutti si schierano: Renzi aveva dichiarato, in modo un po’ incauto (e il buon Arena lo ha subito notato) che lo scioglimento per mafia è una decisione politica e che non se ne parla. Poi qualcuno deve avergli spiegato poco dopo che le carte “stanno messe male” e che è bene liberarsi di Marino, commissariare Roma per via amministrativa ed andare a votare nel 2016.
Ed, infatti, il premier ed i suoi hanno una gran fretta di liberarsi del sindaco ed a occhio e croce la cosa sta andando avanti a grandi passi. Marino si illude, o finge di illudersi, di non fare la stessa fine di Arena. Ce le ricordiamo le motivazioni dello scioglimento? Arena & co. non sono collusi, ma non hanno fatto nulla per cacciare da palazzo San Giorgio le coppole. E questa parole suonano davvero sinistre per il sindaco di Roma cui si rivolgono le stesse accuse: per carità uomo perbene, ma.
Poi c’è lo scontro in atto tra le toghe. Sabella, magistrato e assessore alla legalità del comune di Roma, ha detto che sarebbe folle commissariare Roma per mafia. Con tutto l’impegno che ci ha messo sarebbe una beffa ed una sconfitta senza pari.
In Procura a Roma hanno fiutato aria di trappola ed il carico ce lo ha messo con un’intervista sulla prima pagina del “Il Fatto Quotidiano” il procuratore aggiunto di Roma, il braccio destro dell’ex procuratore di Reggio, Prestipino: «chi nega che a Roma ci sia la mafia è in malafede». Una cosina non da poco se dopo il presidente Grasso, chiamato a commentare quelle parole ha chiarito che la decisione se a Roma ci sia o meno la mafia spetta ai giudici e che i pubblici ministeri formulano solo ipotesi.
Quindi? Tutto è nella mani del prefetto Gabrielli che, in piena estate, dovrà inviare al ministro Alfano le sue valutazioni. Chiaramente se concluderà per le infiltrazioni ci sarà poco da fare, Roma passerà dalla candidatura per le Olimpiadi 2024 alla candidatura per il Nobel della vergogna mondiale, peggio di Bogotà. Se il prefetto, invece, dovesse circoscrivere le dimensioni di Mafia Capitale a poca cosa sarà infilzato dalla stragrande maggioranza della stampa italiana e non solo, con conseguente addio ad una fulgida carriera ed alle prospettive di essere con merito il prossimo capo della Polizia o il prossimo ministro dell’Interno.
Non una bella situazione per chi è stato capo dei servizi segreti, prefetto a L’Aquila post terremoto ed ha risollevato la Concordia dalla melma. Anche a Roma il piano è inclinato in modo pericoloso e Marino deve farsi da parte ed in fretta. Non faccia l’errore di Arena, e della politica in genere, non pensi di farla franca nella clima che c’è nel paese. Il meccanismo dell’antimafia è implacabile anche a Roma e la Bindi è pronta a salirci sopra a breve, mi pare.