E’ bella, mia madre; lo è perché ha la bellezza della bontà d’animo, quella che serve per darti forza, quella che si sprigiona dalle mamme quando, vincendo la stanchezza delle membra, scalano le montagne delle difficoltà
E’ bella, mia madre.
Non nelle foto di quando era ragazza: il giorno della laurea, con un fascio di rose accanto al viso; ritratta seduta a un banchetto con i calzini corti e i capelli sciolti sulle spalle, intenta a studiare quelle lingue antiche che ha tanto amato, o a passeggiare a braccetto di mio padre, scambiandosi quei sorrisi dei quali solo gli innamorati sono capaci; o il giorno del matrimonio, splendente nel suo abito bianco costato chissà quali sacrifici a mia nonna, insegnante elementare vedova con quattro figli da crescere e far studiare.
Mia madre è bella ora. Ora che sta stesa in un letto d’ospedale, coi suoi occhi verdi smeraldo troppo spesso socchiusi, senza denti in bocca ché in queste condizioni non è il caso di usare la dentiera; col suo bel viso dagli zigomi alti sovente deformato da una smorfia di dolore;
con un “Ave Maria gratia plena” che talvolta affiora dalla sua bocca inframmezzando frasi incomprensibili, piene dei nomi dei suoi figli, dei suoi nipoti, che devono mangiare o devono stare attenti quando sono in giro, o dei nomi di persone che esistono ancora solo nella sua memoria.
E’ bella anche se non possiamo più litigare per i motivi più banali, ora che non c’è una porta da sbattere per andare via coi nervi a fior di pelle, ma solo due occhi piantati sul tuo viso ai quali chiedi, sapendo che non è possibile, di tornare quelli fiammeggianti dei rimproveri.
Occhi teneri, di una dolcezza disarmante, alla quale non eri più abituato, o alla quale, forse, non prestavi più attenzione, distratto da altre cose ritenute, a torto o a ragione, più importanti, certamente più urgenti.
Fino a quando non li hai visti sparire, occhi spauriti, smarriti, da bambina indifesa, nello spiraglio della portiera dell’ambulanza che se li portava via, pensando che quella volta poteva essere l’ultima.
Non è andata così, per fortuna. E lo so bene che ci sono dolori molto più devastanti di una persona che ti lascia a una certa età, dopo aver vissuto non serenamente, che ciò non è dato in questa terra, ma dignitosamente, immersa nelle gioie e nelle disgrazie di ogni giorno perché è così dalla notte dei tempi.
Mia madre è ancora tra noi, e probabilmente in questo mese è riuscita, stando inchiodata in un letto d’ospedale, nella sofferenza, spesso nell’incoscienza, a coronare il lavoro di una vita, a tessere ancora e ancora le fila dell’amore che tiene insieme lei e le persone che le vogliono bene, e queste tra loro.
E’ bella, mia madre; lo è perché ha la bellezza della bontà d’animo, quella che serve per darti forza, quella che si sprigiona dalle mamme quando, vincendo la stanchezza delle membra, scalano le montagne delle difficoltà, dei dispiaceri, delle amarezze, e danno ai propri affetti tutto ciò di cui hanno bisogno per stare al mondo a cavallo di gioie e dolori, senza requie e senza sosta.
Io non so se mia madre leggerà queste parole, o se sarà capace di coglierne il significato se qualcuno lo farà per lei.
Ma so per certo che nelle parole, negli sguardi, nelle carezze, nelle attenzioni dei suoi figli, attorno al suo letto d’ospedale, coglie il significato e l’essenza della sua vita. Ed è felice.