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Twin Peaks - il Ritorno: la sfida di David Lynch

“Questa è l’acqua, e questo è il pozzo. Bevete a fondo e calatevi. Il cavallo è il bianco degli occhi e scuro all’interno”. Con queste parole, ripetute al microfono di una stazione radio, come una continua nenia ipnotica, un oscuro personaggio fa cadere in un sonno catartico coloro che lo stanno ascoltando. Ed è con questa frase, poetica ed ambigua, che David Lynch invita tutti noi spettatori  a  “calarci” dentro la sua personalissima cosmogonia visionaria, che con Twin Peaks-Il Ritorno raggiunge il suo climax attraverso il medium della serialità  televisiva, superandone i canoni, in quello che potrebbe apparire una sorta di “passaggio di stato”  per diventare un film in diciotto episodi che invece va  oltre il cinema stesso, destrutturandolo e contaminandolo con la video arte, l’espressionismo, il surrealismo ed il rimando citazionista (vedi il trip psichedelico in omaggio a 2001-Odissea nello Spazio).Ma tutto questo resterebbe soltanto un fantastico contenitore estetizzante se Lynch non avesse portato all’ estremo le sue ossessioni e le sue visioni, definendo una sorta di nuovo statuto per l’ “immagine in movimento ”, depauperata a livello simbolico e ontologico dal magma indistinguibile che ormai confonde in un’unica cascata sensoriale social network, youtube, televisione e  cinema in nome della “pornografia del visibile”, dove  l’immagine stessa diventa un mero segno privo di aura, non più sfida allo sguardo per ri-creare il reale ,ma semplicemente appiattimento conformista .Nell’episodio numero otto della nuova stagione  (da cui è tratta la citazione  iniziale) di Twin Peaks tutto questo trova il suo manifesto, e l’immagine, sorda alle sirene del senso “usa e getta” e della narrazione lineare, diventa pura Arte, in quanto creazione e non ripetizione dei simulacri del reale, vettore in grado di tracciare direzioni per un nuovo sguardo, per dis-velare il corpo nudo della realtà senza rimbalzare pigro contro l’effimero apparente. Il genio di Lynch si mostra in tutta la sua potenza quando non si accontenta di ridare un afflato artistico-primordiale  all’immagine, ma la usa, dopo averla rigenerata , per creare una sorta di topologia del doppio, un vero e proprio spazio in cui si muovono e sono compresenti il bene ed il male ,il visibile e l’invisibile, narrazione e percezione, reale ed onirico, senso e delirio, Cooper ed il suo Doppelgänger, ma soprattutto noi ed il nostro riflesso. Riflesso che non sarà mai mimesi per Lynch, ma  confessione e negazione, vero e proprio completamento dialettico: l’immagine di Laura Palmer sorridente  giovane liceale , l’immagine di una Laura Palmer invecchiata che  non ricordava  di chiamarsi così ,mentre urla disperata per quel ricordo-rivelazione a cui non si può sfuggire, perché la domanda “It is Future… Or it is Past?” non ammette risposte scontate. La sfida che Lynch lancia allo spettatore, non è quella di una disquisizione filosofica sul tema del doppio, ed in particolar modo sulla natura del male e del bene, sulla frattura più o meno apparente tra reale ed onirico, tematiche ricorrenti e ampiamente sviscerate in tutta la sua filmografia e nelle due serie precedenti di Twin Peaks, ma  di calarsi nel pozzo della “visione” ,dove l’acqua è il flusso di immagini che “camminano con noi” , da quella  filmica a quelle della realtà, dall’arte alla cattura bulimica dei  nuovi medium, dal sonno al risveglio .Sta a noi raccogliere  la sfida, perché  “nell’oscurità di un futuro passato il mago desidera vedere”, e quel mago non è  solo Lynch/Cooper ma tutti noi spettatori/esseri umani, che camminano con il fuoco/immagine, lungo questo sottilissimo filo che si dispiega per questa convivenza ineliminabile  tra creazione e distruzione.