Il film diretto da Denis Villeneuve, è il sequel di Blade Runner, realizzato nel 1982 da Ridley Scott.
Forse neanche lo stesso Philip K. Dick, autore del romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, avrebbe potuto immaginare che dalla sua opera sarebbero stati realizzati due film, per di più a distanza di 35 anni l’uno dall’altro. Il primo è del 1982, ed è un capolavoro assoluto della fantascienza, un noir-thriller diventato culto, emblematico di un universo creativo distopico che sarà fonte di ispirazione per tutta la produzione sci-fi successiva. Il secondo è del 2017, e prova ad aggiungere qualcosa, riuscendoci ma solo in parte. Era questa la grande ambizione di Denis Villeneuve, al suo nono film e reduce da “The Arrival”, che riceve in consegna dal maestro Ridley Scott, regista prima e produttore adesso, l’onore e l’onere di trasformare Blade Runner in un franchise di successo, un po’ come avvenuto per Alien. La sceneggiatura di “Blade Runner 2049”, probabilmente non aggiunge nulla di decisivo al primo capitolo, ma è realizzata con grande cura e nel rispetto assoluto del grande classico, ed in più è arricchita per tutti i 152 minuti da una magniloquenza visiva fuori dal comune.
La fotografia è affidata al grande Roger Deakins, e con gli effetti speciali vengono amplificati e superati gli orizzonti visivi creati da Scott. La L.A. del 2049, è, ancor più di quella del 2019, infestata dallo smog, dalla pioggia e dalla neve che rendono il sole inesistente, la città invivibile, il pianeta devastato e morente. Chi può abbandona tutto per raggiungere l’extra-Mondo, gli altri sono costretti a vivere una vita priva di emozioni, ripetitiva, con l’unica compagnia di donne sintetiche e ologrammi parlanti. I replicanti svolgono i lavori più duri, ma la razza umana non ha nulla di cui essere felice. Una distopia disincantata nella quale la solitudine, il degrado, la disperazione regnano sovrani. Villeneuve onora Scott, inserendo nei neon della città quei loghi di aziende anacronistiche (come la Atari, fallita nel 2013, o la Pan Am, che probabilmente non vedrà mai il 2049), rappresentando automobili e abbigliamento ormai palesemente fuori moda, retrò. Alla potenza delle immagini va aggiunta la colonna sonora di Hans Zimmer, incalzante, potente e dal volume assordante che coinvolge in modo estremo sino a creare disturbo alle nostre orecchie, e che rende la visione domestica imparagonabile a quella in sala.
La trama, per quanto come nel primo film passi in secondo piano rispetto alla potenza delle immagini, ci mostra un nuovo Blade Runner, l’agente K, un duro e arcigno Ryan Gosling, che caccia i vecchi replicanti Nexus ribelli. Il ritrovamento di uno scheletro farà sorgere dei dubbi sulla sua stessa natura e lo porterà all’incontro con Rick Deckard, un mitico Harrison Ford che torna sulla scena, dopo averlo già fatto per la saga di Star Wars, portandoli a scontrarsi col villain di turno, Niander Wallace, uno spietato Jared Leto, creatore dei nuovi replicanti e fanatico della loro riproduzione. Una sceneggiatura intricata e difficoltosa da seguire a tratti, quella scritta da Fancher e Green, gli stessi che scrissero quella del prequel, che però collega abbastanza bene i due film, rendendo comprensibile questo anche a chi non ha mai visto il primo.
Ma l’indagine si spinge oltre fino a sfiorare il dubbio sommo dell’origine della vita, dell’intelligenza come processo riproducibile fuori dall’essere umano, della natura stessa dell’essere. Due grandi film che si servono della fantascienza per raccontare il viaggio, estremo, verso la conoscenza.
I punti in comune tra Blade Runner e Blade Runner 2049 sono parecchi, a partire dal fatto che nessuno dei due è stato un successo commerciale, fino al fatto che la sceneggiatura (soprattutto del secondo episodio) non riesca del tutto a stare al passo della potenza delle immagini audio-visive. Ma paragonare due film realizzati a distanza di decadi lascia il tempo che trova. Il lavoro di Villeneuve è sicuramente riuscito a illuminare molte zone oscure e molte questioni irrisolte da Ridley Scott, dando risposte, ma ponendo nuovi interrogativi, e chissà, forse gettando le basi per un ulteriore sequel. Alla fine di tutto, Rick Deckard è un replicante?