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Tocca a voi adulti appagare questa sete, anche se so già, come Ulisse, che quel calice è subito oceano oltre le Colonne d'Ercole

Immagine: Banksy, Balloon girl

 

La vita è donna. E’ capricciosa, ciò che vuole diviene subito suo, ma rare volte sa essere generosa; è sadica, è come se le piacesse metterci ostacoli durante il nostro viaggio, come se le piacesse vederci, anche solo per un momento, soffrire. Ma anche lei soffre, anche lei torna a casa col trucco sbavato e le guance arrossate per il pianto. Questo succede quando la speranza finisce, mai sentito il detto “finché c’è vita c’è speranza”? Io fin troppe volte.

La speranza è il filo rosso che unisce l’amore e la ragione ed è lo stesso filo che, nell’Odissea, unisce Penelope e Ulisse. La speranza persuade diventando l‘amante di entrambi. Odio profondamente questo sentimento perché è il burattinaio delle nostre anime. Come se fosse stato alunno del diavolo e avesse insinuato in noi un po’ del suo sapere.

La guerra tra il senno e l’amore è uno scontro che insanguina l’anima. Come se fossero due mari che si incontrassero e si mangiassero a vicenda e solo noi avessimo il potere di separarli. La ragione è un foulard che ci protegge, una mamma che ci porta per mano e smaschera le finzioni del mondo. L’amore ci benda gli occhi, ci abbandona a noi stessi. Io privilegio la ragione ma l‘amore mi inganna, non so come faccia. Forse l’adrenalina dell’incertezza e del rischio mi trae in inganno.

Il dolore è l’effetto collaterale dell’amore. E’ un pugnale che trafigge l’anima, distrugge ciò che hai di bello. Rimani tu tra le urla e i pianti a raccogliere i pezzi. Barattiamo le nostre lacrime in cambio di una corazza che faccia da cura alle nostre ferite, ma con il passare del tempo diventa più pesante e infrangibile. Indossiamo una maschera per nascondere gli occhi sbiaditi e il tremore dell’animo. Il dolore più ingiusto, che ci fa toccare il buio abisso del nostro animo, perché ci strappa le ali, è il dolore procurato dalla morte. Quel dolore che avvolse Andromaca per la morte di Ettore. Io personalmente non la concepisco: forse, la morte, dopo l’umanità, sarà una delle mie più grandi delusioni. Le mura che solleva il dolore causato dalla morte sono costruite da odio e rabbia. Si innalzano intorno a te, circondandoti per farti credere che la rabbia e l’odio siano le uniche soluzioni, ma alla fine si scoppia in un pianto nervoso contro un destino che sembra aver già deciso. Oppure no. Nulla è  deciso.

Ma anche se lo fosse, il destino sarebbe un libro scritto da Dio. Lui scrive tutto, nero su bianco. Programma l’inizio e la fine del nostro viaggio, gli ostacoli che incontreremo e che lui puntualmente pretenderà siano superati. E’ il regista del nostro spettacolo e allo stesso tempo la platea. I punti bianchi del suo copione sono completati da noi ed ecco il libero arbitrio, è in nostro potere lasciar a bocca aperta pure Lui.

 A volte però Dio cessa di esistere, scompare di fronte alla guerra, alla sofferenza, alla fame e mi chiedo perché. Per non riuscire a vedere le terre insanguinate a causa dell’odio dovrà essere cieco; per non sentire le urla soffocate dei disperati dovrà essere sordo; per non parlarci dovrà essere muto. Possibile che Dio si manifesti solo in piccole cose. Chissà. Che poi tanto piccole non sono. un prato fiorito , dove il profumo ti culla  e il sole ti bacia, ti riscalda e il cinguettio degli uccelli diventa una melodia che ti fa vibrare l’anima. 

 Come il cielo di notte, dove le stelle fanno da punti luce al manto del cielo e dove il silenzio ha la meglio.

Ed ecco terminato il mio diario di elucubrazioni minime del mio anno primo anno scolastico da liceale. Un viaggio già  abbastanza lungo. E pensare che ho inserito solo alcune delle mie tappe come boccate d’ossigeno per rifiatare dalla vita in apnea. D’altronde,  sono in cerca del calice di conoscenza per placare la mia sete: tocca a voi adulti appagare questa sete, anche se so già, come Ulisse, che quel calice è subito oceano oltre le Colonne d’Ercole.