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Chi siamo noi italiani? La narrazione mediatica degli ultimi anni ha voluto consegnare ai lettori una descrizione di questo popolo un tantino difforme dalla realtà.

Approfitto delle recentissime consultazioni elettorali per cercare, in qualche modo, di capire chi siamo noi italiani. La narrazione mediatica degli ultimi anni ha voluto consegnare ai lettori una descrizione di questo popolo un tantino difforme dalla realtà. Perché dico questo? Perché la sensazione che il racconto “dell’italiano medio” in un certo modo fosse funzionale a logiche politiche, è netta, inequivocabile, secondo il mio modesto punto di vista. Si è cercato, per dirla in maniera più semplice, di creare una suddivisione tra buonisti e razzisti, tra comunisti e fascisti, fra il noi e il loro. Questa bipolarizzazione non è perfettamente in linea con la realtà e le recenti consultazioni lo hanno dimostrato. Se si agita uno spauracchio come il razzismo o il fascismo lo devi dimostrare con i fatti che questo pericolo esiste, non puoi limitarti alle parole e agli slogan. I fatti dicono che gli italiani hanno accolto centinaia di migliaia di migranti, i quali sono stati destinati spesso in contesti non consoni per una buona accoglienza. Questo ha acuito il senso di insofferenza e di abbandono di coloro che abitano le periferie, i quali peraltro, non accompagnati da un sostegno serio nel capire questo fenomeno, si sono sentiti “invasi” da chi era ancora più povero, emarginato, disperato. La mobilitazione, generosa  o funzionale al proprio interesse di partito poco importa, nei confronti di disperati di altri mondi, si è contrapposta in maniera palese al disinteresse nei confronti del pensionato al minimo costretto a vivere di stenti, del disoccupato 50enne che deve mantenere comunque una famiglia, della donna sola che ha paura di camminare per strada e che “percepisce” aumentare il rischio di molestie o violenze e via discorrendo. Di queste problematiche avrebbe dovuto occuparsi chi, in virtù del sostegno tanto proclamato agli ultimi, ha doverosamente attuato una politica di accoglienza. Invece si è voluto alimentare lo scontro, si è preferito dare addosso ad altri ultimi, in una gara senza senso a chi, tra gli ultimi, avrebbe dovuto essere più meritorio di attenzioni. In buona sostanza si è ritenuto utile alimentare una guerra tra poveri, con la colpevole complicità di taluni politici sciacalli che hanno buttato benzina sul fuoco. Ora vi faccio qualche domanda: avete mai assistito ad un pasto offerto in una mensa per “poveri”? Avete visto che dinamiche ci sono? Come si siedono ai tavoli alcuni poveri rispetto ad altri poveri? Ecco, non vi è nessuna dinamica. Ci si siede ai tavoli e ognuno aspetta quel che gli verrà dato. E sapete quando iniziano i problemi? Quando sbagli le porzioni, ovvero quando inavvertitamente consegni un piatto un po’ più pieno a qualcuno rispetto a qualche altro. Perché in quel momento, il senso di giustizia e di parità che viene percepito al momento in cui ci si siede a tavola (e li vedi tutti insieme, neri gialli, rossi, italiani e non) viene intaccato dalla “ingiusta” distribuzione del cibo. Ecco, questo ragionamento, elementare al punto che perfino un castoro lobotomizzato lo capisce, ma vado oltre dicendo che addirittura io riesco a capirlo, avrebbe dovuto indurre coloro che tanto magnanimamente si sono occupati della gestione dei migranti, a creare le condizioni per cui se in una periferia intendi collocare decine di immigrati, in quelle periferie avresti dovuto creare le condizioni perché nessuno potesse pensare che “ a quelli si e a noi no”. Invece si è fatto il contrario, arrivando addirittura a far sentire in colpa chi intravedeva, che fosse vero o meno poco importa, il pericolo di una maggiore attenzione verso “gli altri” e di essere collocati in un definitivo dimenticatoio rispetto a chi, disperato oltre ogni misura, perveniva da altri mondi. Miei cari signori, gli ultimi sono ultimi, e il passo che va fatto è che non lo siano più, tutti. Ad alimentare o cavalcare questa guerra fra poveri, lo siamo stati un po’ in tanti, non capendo che non puoi aiutare chi viene da fuori senza aiutare chi è già qui, in virtù di quel principio che deve accomunare gli esseri umani tutti indistintamente. Perché io, italiani che rovistavano fra i rifiuti in cerca di cibo, li ho visti davvero, e dirlo non significa essere razzisti, fascisti, o chissà che, significa semplicemente analizzare un dato reale. Questo ha permesso a ignobili esponenti politici di impostare una odiosa rappresentazione degli italiani contrapposti, nella loro miseria, ad altri disperati. Noi italiani, qualsiasi cosa possano pensare gli intellettuali da quattro soldi che hanno imperversato nelle TV per anni, non siamo razzisti. Lo dimostra un esempio lampante come Mimmo Lucano e quello splendido racconto di accoglienza e condivisione che proviene dal suo “modello Riace”. E se riflettiamo bene, al di là di qualsiasi pregiudizio di sorta, con il coraggio tipico delle aquile che si librano in volo, quel modello o comunque una politica di accoglienza che si innesti all’interno di soluzioni che comprendano tutti, indistintamente, non “tu sì e tu no” non determinerebbe quel senso di insofferenza che si è voluto, scientemente e impunemente creare, per biechi interessi politici questo sì, anche di chi dietro questa maschera umanitaria perseguiva fini tutt’altro che nobili (e non mi riferisco solo a mafia capitale). Men che meno siamo fascisti, intendo di quel fascismo che piace tanto agli antifascisti. Lo si è visto che percentuali hanno preso i sedicenti fascisti. Nulla, niente, zero e sottozero, come è sacrosanto e storicamente giusto che sia! Ma sulla pelle della gente ad alcuni è piaciuto far passare questa idea, in nome di una pericolosissima contrapposizione creata ad arte, per autoperpetuarsi politicamente.  Ma se vi dico “Pamela” voi cosa vi ricordate? Che sia stata ammazzata, purtroppo poco importa da chi, o invece l’immonda campagna dell’una o dell’altra parte in cui si sperava che fosse morta di overdose piuttosto che uccisa e messa al macello da belve disumane? C’è importato qualcosa di Pamela o piuttosto non abbiamo cercato, tutti, di approfittare di quella tragedia per consacrare il nostro punto di vista in quel fatto? Sì, ci siamo preoccupati subito di posizionarci, definirci, per poi arrivare a dire che uno psicopatico ha sparato contro dei nigeriani perché nazista o fascista (ecco, il pericolo fascista ci è stato subito ben servito) e non invece perché completamente fuori dalla realtà ed evidentemente o soprattutto anche un criminale fuori di testa. Così come è evidente che qualora fosse provato che siano stati i “negri” ad ammazzarla, è ovvio che non tutti i “negri” siano sporchi assassini. Perché altrimenti il discorso varrebbe anche per la sedicente professoressa antifascista che invocava la morte dei poliziotti. Mica volete credere che tutti gli antifascisti siano così idioti o criminali come chi, tra costoro, si scaglia contro la polizia. Tanto il pazzo criminale che spara ai “negri” quanto i sedicenti antifascisti violenti, sono una netta e inequivocabile minoranza. Essi sono, grazie a un qualche Dio delle cittuaaaà e delle immensituaaaà che, diciamolo, ha impedito ripercussioni ben più gravi, solo il risultato del veleno che noi, buoni e cattivi, abbiamo sparso a piene mani. Ve ne prego, con il pancreas in mano e il fegato in tasca (il cuore no, perché è uno zingaro e va) smettiamola di farci del male, noi siamo molto meglio di come i Zucconi/Severgnini di turno ci hanno voluto raccontare. E soprattutto ci saremmo un po’ annoiati di questa ossessiva ricerca di un nemico. Per cui, riponiamo le armi, sediamoci a un tavolo e, come dicono a Roma: famose a capì.