Vittime e colpevoli : Il caso Asia Argento/Harvey Weinstein
Per esperienza personale, il settore in cui lavoro, so benissimo che la testimonianza
della persona offesa è fondamentale per incanalare il processo in quella direzione che
consenta una concreta conformità fra verità sostanziale e verità processuale. Sì, è
così, non sempre la verità dei fatti trova riscontro nella verità processuale, nel senso
che il Giudice, terzo rispetto ai contendenti che sono generalmente pubblica accusa e
difesa dell’imputato, decide sulla base delle risultanze istruttorie che non sempre
riescono a fare emergere la verità. Dico questo perché, anche se può sembrare
crudele, è proprio nei confronti della parte offesa che si indirizzano i colpi più bassi
da parte della difesa dell’imputato, per minarne la credibilità. Non solo, la
testimonianza della parte offesa deve essere “sostenuta” da elementi oggettivi come,
ad esempio, una visita medica per accertare la violenza (ovvio che si parli di questo)
o di altri testi “disinteressati” che confermino quanto sostenuto da chi denuncia
questo, come qualsiasi altro tipo di reato di cui si è vittima. Per chi sta fuori da questi
meccanismi tutto ciò è difficile da comprendere, soprattutto per la c.d opinione
pubblica che, nulla sapendo né di verità sostanziale né di verità processuale (mi
perdonino i giuristi se uso termini magari non conformi al diritto), si fa un’idea e, del
tutto legittimamente, parteggia per l’uno o per l’altro. Succede, siamo umani e
parteggiamo, anche se sarebbe conforme a sani principi, non farlo. Più il reato è
odioso, più è “necessario” saggiare a fondo la credibilità della “presunta” parte
offesa. Aggiungo: anche colti in flagranza di reato, è sempre il Giudice che stabilisce
la verità. E nessun altro. Questo va detto, a scanso di equivoci. Ed è al Giudice che si
deve instillare il dubbio se sia o meno credibile la parte offesa, la quale testimonia
sotto giuramento, così come un buon difensore deve riuscire ad alimentare nel
Giudice, il dubbio che il suo assistito sia realmente colpevole. La decisione, infatti,
deve essere motivata ed il Giudice deve arrivare al convincimento della colpevolezza
dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio”. In dubbio, si dice “pro reo”,
ovvero nel dubbio è conforme ai principi di uno stato di diritto che sia preferibile un
colpevole libero piuttosto che un innocente in galera. Faccio questa premessa, perché
ho la sensazione che uno dei reati più odiosi perpetrati a danno delle donne, lo stupro,
sembra che non debba essere attentamente vagliato da un giudice, ma basti la
testimonianza della persona offesa dal reato. Ecco, il solo dir questo probabilmente
mi porterà in dote una miriade di insulti, sull’errato presupposto che argomentare in
maniera libera su questi temi sia sintomo di pregiudizio nei confronti delle donne.
Non ho pregiudizio alcuno, tutt’altro, ed è proprio in virtù di questa condizione
mentale che ritengo di poter esprimere, serenamente, ciò che penso. La mia analisi
nasce dalla lettura di quanto ognuno di noi “versa” il quel grande contenitore di
opinioni, più o meno condivisibili, che è Facebook, ma anche da chiacchierate fra
amici. Nel sostenere le proprie convinzioni sulla veridicità o meno di quanto asserito
dall’attrice Asia Argento ed altre donne che, come lei, hanno subito violenza ad opera
di Harvey Weinstein, molti commentatori hanno utilizzato termini forti. Non prendo
nemmeno in considerazione chi ha usato tale notizia solo per assecondare il proprio
bieco istinto sessista e misogino. Non meritano attenzione. Tuttavia l’errore, a mio
modesto avviso, è stato quello di concentrarci su quanto dichiarato da Asia e dalle sue
colleghe e non su altri aspetti che non ritengo marginali. Vi è in questo dannato e
splendido paese, la continua ricerca di verità stragiudiziali, in cui chiunque si erge a
giudice e pontifica senza alcun riferimento, spesso, alla verità dei fatti. Se non vi è
dubbio alcuno che le donne sono da sempre sottoposte a ricatti più o meno a sfondo
sessuale da parte di criminali che occupano posti di potere, è anche vero che questi
ricatti stentino ad emergere nell’immediatezza dell’accaduto, ma vengono, come nel
caso di specie, svelati oltre ogni ragionevole termine per poter essere perseguiti.
Ovvio direi, e sacrosanto, che chi subisca tali ricatti abbia paura delle conseguenze di
una denuncia: perdita di lavoro, di occasioni favorevoli nel perseguimento di un
obiettivo e tanto altro. Per cui non è in discussione la buona fede di chi denuncia, né
immediatamente né a distanza di venti anni. Il punto è altro, e cioè la possibilità, a
distanza di anni, di corroborare la propria denuncia di una violenza subita, con delle
prove che possano inchiodare alle sue responsabilità il potente/porco di turno. Certo,
la mancata immediata denuncia comporta che il potente/porco di turno cominci a
considerarsi intoccabile e continui nel perpetrare il reato nei confronti di altre vittime.
Ma è altrettanto ovvio che dire ciò non significa imputare responsabilità di alcun tipo
alla vittima che non denuncia. E’ solo una conseguenza. Certo, denunciare in ritardo,
comporta che il reato non possa essere perseguito, perché prescritto. Ma anche dire
ciò non significa attribuire, giova ripeterlo, alcuna responsabilità a chi omette di
denunciare tempestivamente. Lo dico, e lo ripeto, perché a dire cose ragionevoli o,
come direbbe Feltri nell’imitazione di Crozza, “fattuali” si rischia di sentirsi dire:
“vorrei vedere se fosse toccato a tua sorella o a tua madre”. Fatte salve le
considerazioni di cui sopra, che valgono in generale e pertanto anche nel caso
specifico, ma non devono essere pregiudizialmente lette come a favore o contro la
vittima o lo stupratore o altro, io ne aggiungo un’altra: poniamo il caso che invece
che a mia sorella o a mia madre, succeda che un vostro caro sia accusato di stupro?
Tralasciando il fatto che sia o meno vero, ma non vi sentireste più tranquilli se un
giudice valutasse con attenzione e con estrema cautela ciò che dice la vittima? E
come vi sentireste nel leggere commenti colpevolisti a carico del vostro congiunto
basati sulla diffusione e inevitabile “interpretazione” di quanto denunciato? Perché il
punto è questo: ci ergiamo a giudici sulla base di fatti di cronaca che ci vengono
raccontati ma il passarci in mezzo, a fatti di cronaca, e viverli, rende probabilmente
meno facile il giudizio di chiunque. Ma soprattutto rende meno facile il prendere
posizioni pregiudizialmente, nei confronti di chi tenta di argomentare, fuori dal coro
delle prevedibili, anche se sacrosante, prese di posizione. Perché alla fine, ciò che
conta, diciamocelo senza ipocrisie, è dimostrare di avere ragione, e delle vittime…
ma dai, chi se ne frega.