LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. La Fantarca, Giuseppe Berto (pref, G. Lupo, bur)

LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. La Fantarca, Giuseppe Berto (pref, G. Lupo, bur)

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“Una volta, tanti anni fa, ma tanti quanti non potete nemmeno immaginare giacché forse si trattava di un altro ritorno storico, c’era una vecchia astronave, così vecchia, poverina, che era piena di rabberciature e di pecette, ma d’altra parte questo era l’ultimo viaggio interplanetario che avrebbe compiuto e inoltre, affinché non facesse proprio brutta figura e soprattutto non scoraggiasse fuor di modo i viaggiatori, le avevano dato una bella mano di tinta fosforescente color arancione, sulla quale il glorioso nome dell’astromobile che un secolo e mezzo avanti era stato tra i primi ad atterrare per così dire sulla Luna, spiccava in azzurro con tutto il suo buon sapore di vecchi sentimenti: Speranza n. 5.”

Pubblicato nel 1968, lo stesso anno in cui arrivò nelle sale cinematografiche Odissea nello spazio, ma scritto tre anni prima, La Fantarca di Giuseppe Berto (la si trova in edizione Bur con la prefazione di Giuseppe Lupo) è una favola in forma di racconto fantascientifico: garbata e divertente, tutta percorsa da un’ironia lieve che poggia sull’idea vichiana dei corsi e ricorsi storici.

Nel 2160, in un mondo dominato da due Blocchi, il Primo Blocco e il Secondo Blocco, diviso da un Alto Muro, tecnologizzato fino alla spersonalizzazione, guidato da una imperante comunicazione a senso unico, si trova finalmente modo di superare la Questione Meridionale, trasferendo tutti i terroni negli altri pianeti.

La Speranza n. 5, in partenza dall’astroporto di Vibo, deve portare su Saturno gli ultimi millecinquecento circa calabresi ancora rimasti sulla terra, insieme ai loro animali e qualche altro bene primario: li potranno riprodursi a piacimento, senza rischio di sovrappopolamento; superare, grazie alla sgradevolezza ambientale, la pigrizia di fondo; lavorare, quindi, di più.

Inizia così una sorta di piccola odissea nello spazio, in una raffazzonata, confusionaria navicella – un po’frigorifero, un po’ lavatrice, un po’ bastimento spaziale, che richiama l’Arca di Noè – con dei personaggi, a cominciare dal comandante don Ciccio Torchiaro (comandante “formale”, giacché la Speranza n.5 è in realtà guidata dalla Centrale Generale di Amarillo in Texas), che hanno ben poco di eroico: e sono, piuttosto, strampalati quanto il razzo che li ospita

Mentre la navicella girovaga nello spazio, sulla terra scoppia una guerra. La Speranza n. 5 resta, quindi, “abbandonata” a se stessa: senza guida proveniente da un pianeta dove gli uomini potrebbero essere stati tutti distrutti. Si tratta, quindi, di fare una scelta: tentare di raggiungere, comunque, Marte; orbitare senza posa intorno alla terra; provare a tornare indietro. Ma dove atterrare? C’è un gruppo che vorrebbe scendere a Parigi, ma il comandante riesce ad ottenere la maggioranza su un’altra scelta e, perigliosamente, a raggiungere Capo Vaticano.

“E il mare era indicibilmente splendido nella luce di quel tramonto, azzurro e disteso, con la sua fila di isole davanti e lo Stromboli fumante. E la gente si sentiva contenta di vivere, di essere tornata a vivere nella sua vecchia Terra.”.

Racconto di gradevolissima lettura, critico ma tutt’altro che ostile allo sviluppo tecnologico, avventuroso senza ottimismo facilone, e speranzoso “comunque” perché da qualsiasi fine si sviluppa sempre un nuovo inizio, La Fantarca è un tassello importante della bibliografia di un autore più grande di quanto gli venga generalmente riconosciuto.

Giuseppe Berto La Fantarca, Bur pp.204, euro 10

Prefazione di Giuseppe Lupo