L'INTERVISTA. Jonas Carpignano il regista neorealista che ama Gioia Tauro (tra Cannes e Donatello)

L'INTERVISTA. Jonas Carpignano il regista neorealista che ama Gioia Tauro (tra Cannes e Donatello)

david

Dal sette Ottobre è nelle sale cinematografiche “A chiara” l’ultimo film di Jonas Carpignano, già selezionato alla Quinzaine Des Réalisateurs del Festival di Cannes e vincitore del premio Europa Cinemas Label. “A Chiara” è il terzo atto di una trilogia, di grande spessore, su Gioia Tauro e che comprende “Mediterranea” e “A Ciambra” con cui ha vinto nel 2018 il David di Donatello come miglior regista. Il regista italo americano, che per anni ha vissuto nella cittadina della Piana, in questo nuovo film racconta la storia di una ragazzina adolescente che scopre improvvisamente come il padre, assente da casa da qualche tempo, sia in realtà un latitante appartenente ad un gruppo ‘ndranghetista. La sua vita da quel momento cambierà…

D. Jonas seguendo i titoli della trilogia partendo da “Mediterranea”, per passare ad “A Ciambra” (che per chi ci legge da fuori regione è un quartiere problematico di Gioia Tauro), e adesso “A Chiara” sembra che tu abbia presentato la realtà in una sorta di anticlimax, partendo dall’infinitamente grande per arrivare all’infinitamente piccolo; all’introspezione e all’intimismo. È così?
R. “Per me il punto di partenza è sempre un personaggio, parto sempre dall’intimo e spero che attraverso il personaggio si possa delineare e capire anche il contesto che lo circonda. È stato così per Mediterranea con  Koudous (koudous Seihou, cittadino del Burkina Faso che nel film interpreta se stesso con il nome di Ayiva, ndr) che ho conosciuto ed ancora oggi è un amico e praticamente un membro della famiglia. Facendo così i grossi temi vengono visti con gli occhi di chi vive veramente quella realtà, per me l’intimismo è davvero tutto. Ci tengo a precisare che io sono sempre molto amico di tutti i personaggi, i non professionisti, dei miei film già da molto tempo prima di girare i film”.

Generalmente chi lavora nel cinema in Italia cerca di orbitare attorno a Roma e spesso, anche se non sempre, vede gli U.S.A. come una Mecca. Tu, che sei nato a New York da padre romano, per fare cinema ti sei trasferito in Italia, e hai scelto di vivere in Calabria. Sembri un po’ un salmone che risale la corrente, se ci passi il paragone, ci racconti la genesi di questa scelta poco comune?
“Capisco che da fuori la scelta possa sembrare un po’ strana, ma per me Gioia Tauro non è un laboratorio, non ci vivo solo perché voglio lavorare, io non vado a Gioia Tauro per fare film, io faccio film su Gioia Tauro perché vivo lì, e ci vivo perché mi trovo bene. Sono arrivato per la prima volta nel 2010 per fare un po’ di approfondimento sui fatti di Rosarno, poi mi sono fatto trascinare dalla vita, ho trovato un ambiente molto accogliente. Ormai sento una certa appartenenza a Gioia, sono lì per questo”.

Nella tua poetica filmica sembrano evidenti le influenze tipiche del cinema italiano neorealista, quello di Rossellini, Visconti, ma anche quello più recente di Pasolini… personaggi problematici e complessi, spesso emarginati, assenza sostanziale dell’utilizzo di teatri di posa, attori di frequente non professionisti e utilizzo di gruppi familiari nel girato. Che peso hanno avuto i Maestri italiani nel tuo percorso formativo sia umano che artistico?
“Sì, ovviamente sì, io sono sempre stato molto legato al neorealismo a Visconti in particolare. In questo ha influito molto la mia famiglia, mio nonno Vittorio girava caroselli (è anche il regista di alcuni film tra cui ci piace ricordare “Inquieto” del 1946, ndr) il mio prozio è Luciano Emmer regista di film come domenica d’agosto, quindi sono cresciuto in una famiglia dove il cinema era al centro di ogni discussione. Mio nonno, che aveva una forte ammirazione soprattutto per Visconti, mi ha fatto vedere tutti i suoi film già da piccolo. Quando ho iniziato a girare i primi corti per me è stato naturale venire in Italia. Addirittura nel 2010 quando scesi a Rosarno fu proprio mio nonno a prestarmi la sua macchina per partire, lui mi ha sempre incoraggiato.

Tu hai raccontato molte cose della Calabria, tra cui anche la ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta oggi però, purtroppo, non è solo in Calabria. È molto radicata, per esempio, anche nel nord Italia, che poi è la zona più ricca e produttiva del Paese. Non pensi che sarebbe interessante raccontarne anche questa realtà, che è generalmente ancora meno affrontata dai mass-media, in letteratura, ma anche nel cinema?
“Io non ho mai voluto fare un film per spiegare qualcosa al mondo, io parto sempre con l’idea di far avvicinare lo spettatore ad un personaggio che altrimenti non avrebbe mai modo di conoscere, io cerco di mettere in contatto pubblico e personaggio”.

Il cinema è stato spesso dato per spacciato nella seconda metà del novecento e nei primi anni di questo secolo; prima la televisione, poi internet e le nuove tecnologie… eppure ha sempre trovato le risorse per rigenerarsi e rimanere protagonista indiscusso perché è una forma d’arte, e l’arte, per fortuna, è dura a morire. Succederà anche oggi con la pandemia?
“È ancora molto presto per dire cosa succederà, però io sono ottimista, vedo la gente tornare nelle sale, io in questi giorni sto girando in tutta Italia per presentare il film e devo dire che c’è una grande risposta delle persone, e questa è una cosa che mi fa sentire bene e che mi rende molto ottimista per il futuro”.