Questo è il settimo libro di A. Calabró, e devo dire che da "Johnny Rolling" di strada ne ha fatta tanta. E credo che sia stata una strada tortuosa e in salita. Immagino che il cammino gli sia costato un bel lavoro di introspezione.
Ma soprattutto un lavoro di potatura, come si fa con gli alberi, uno sfrondamento. Calabró ha abbattuto tutte le sovrastrutture, ha sfoltito i pensieri, ha lavato le sbavature ed è sbocciato uno scrittore asciutto, critico, essenziale, preciso, non una parola in più. Solo quelle necessarie, pur senza perdere poesia e passione. Già con "Carneade" aveva piantato il seme della sua vera scrittura. Ironico, autoironico e snello, grande forza narrante e molta fantasia.
Fantasia e forza scatenatesi in "Prenderò il dolore tra le braccia", opera sorprendente e a volte divertente, pur conservando sfumature malinconiche che ci accompagnano per tutta la lettura.
Senza alcuna pretesa di sconfinare nell'infinita opera del Sommo Poeta, Calabró ci porta tuttavia nel suo sogno con un trasporto narrativo che non ha nulla da invidiare a quello di grandi scrittori italiani moderni.
Con grande disinvoltura ci offre scenari da horror cult, o da splatter cult, come lui stesso ammette, con un piglio scanzonatorio che gli riesce davvero bene.
L'incontro con il Diavolo e quello fugace con il suo grande amico Gino il Falco sono lo scopo del viaggio, un viaggio dentro le miserie dell'anima, che scatena tutta la pietà di cui un uomo è capace.
Asciutto, critico, essenziale.
Senza rimanere imbrigliato nell'emozione della perdita, ci racconta il suo dolore e lo condivide con il nostro, con quello di tutti, un unico grande dolore, universale, che non si sconfigge ma si accetta, e trova finalmente la sua pace affrontando bene e male che si annidano nelle coscienze.
Un bel libro. Davvero un bel libro.
*Antonio Calabrò, Prenderò il dolore tra le braccia, Laruffa, 2021.