IL SAGGIO. Il racconto del dialetto

IL SAGGIO. Il racconto del dialetto
Le matrici ziḑ-ḑ-, zil-l e zij- del dialetto calabro meridionale e il lessico derivato

  “Il grande desiderio irrealizzato del Pascoli era di
    “evadere” compiutamente, dalla lingua maggiore 
     da lui già ridotta a minore, verso il dialetto."                                                                                                                                               (P.P.Pasolini)

Nella Calabria meridionale degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando ancora non era stata completamente archiviata la piccola e piccolissima azienda agricola a conduzione familiare, non c'era famiglia contadina che non disponesse di uno o magari di due gioghi di vacche che servivano per arare la terra, per trebbiare grano o altri cereali, per produrre latte e vitelli; questi, quando non venivano venduti (per lo più i maschi) ai macellai per incassare un minimo di contanti che servisse alla famiglia per accedere al «mercato», servivano per rimpiazzare le vacche da lavoro quando, giunte al limitare della vecchiaia, venivano anch'esse condotte al macello. 
I figli dei contadini (anche l'autore di questa nota è appartenuto a quell'illustre genia e quindi scrive per cognizione diretta), sin dalla primissima adolescenza, aiutavano la baracca portando le bestie al pascolo; in primavera, nelle belle giornate di sole, poteva capitare che le vaccine, in genere molto calme, si agitassero improvvisamente e si mettessero a scappare, sollevando la coda e emettendo escrementi allo stato liquido che atterravano disegnando nell'aria uno spruzzo ad arco.
Quell'atto di scappare improvvisamente era dovuto alla dolorosa puntura di un insetto che spesso lasciava all'interno del cuoio bovino una larva la quale, ingrandendosi dopo qualche tempo, usciva all'aria libera provocando ulteriore sofferenza agli animali. «I pigghiàu a musca!» sentenziavano gli anziani nel primo caso e si dedicavano a calmare le bestie; «Nci saddàru i bàriḑḑi!» ci spiegavano, nel secondo caso, quando il dolore provocava altre agitazioni delle vaccine.

Tutta questa vicenda, dalle punture degli insetti alla dolorosa fuoriuscita dei «bàriḑḑi», era sostenuta da una varietà lessicale di cui cercheremo di dare conto nei righi che seguono; ci serviremo, perciò, del Nuovo dizionario dialettale della Calabria di Gerhard Rohlfs (Ravenna, Longo editore 1977), il più completo tra i dizionari del genere (tutti gli altri, più o meno attendibili, o non riproducono le voci lessicali che ci interessano o lo fanno solo per qualcuna di esse) che spiega anche «bàriddu», «assillo, insetto pungente che si attacca ai buoi, …, parassita che vive nella pelle degli animali bovini e ovini … gr. βάρυλον<lat. varulus …».
Rohlfs, di fronte alle molteplici «uscite» provenienti dalle matrici dialettali in zid-, ziḑ-ḑ-, zij - e zil-l (tra le quali, come meglio diremo in seguito, vanno considerate anche zillozillare dello standard), e alla loro diversa collocazione nella impaginazione del dizionario, scelse di non lemmatizzarle lasciando ogni voce al posto che le competeva e rimandando alla voce analoga delle «matrici» sorelle. Sicché ziḑ -, ziḑ-ḑ-, zij e zil-l, che per Rohlfs deriverebbero dal greco antico τίλος (evacuazione liquida) e attraverso il greco volgare τσίλα che ha lo stesso significato, hanno generato diverse decine di parole del dialetto calabro meridionale.

Noi seguiamo le derivazioni della matrice ziḑ-ḑ che è quella radicata nell'area grecanica, a partire da zilla, ziḑḑ-a o ziḑḑ-ùni, diarrea delle vacche punte dalla musca che ben figurerebbero come «esponente» di un immaginario lemma («i pigghiàu a musca e nnci vinni u ziḑḑ-ùni!») a ziḑḑ-unàta, prodotto delle evacuazioni vaccine disperse per terra, a ziḑḑ-uniàri, l'atto di fare ziḑḑ-u- nàti; e, d'altra parte, cacariari, equivalente a ziḑḑ-uniàri, ha anche un significato metaforico che sta per «lavorare in fretta» e senza criterio rendendo necessario un intervento riparatore di persona posata.

Da questo nucleo semantico si sono generati altre voci ed altri significati collaterali: 1. ziḑḑ-a, per lite, tigna, donde <ziḑḑusu o zillusu, tignoso, iroso, litigante, permaloso, zillichiare, molestare, zilliare,  attaccar briga, zillu, cavillo o anche frode nel gioco; 2. ziḑḑ-a, sterile, infeconda, detta degli animali e, in senso spregiativo, anche delle donne; 3. ziḑḑìa, zacchera di fango, sciḑḑicari, scivolare sul fango o su una superficie liscia, 4. ziḑḑari, schizzare il fango addosso a qualcuno, ma anche l'acqua con la pistola giocattolo o, comunque, facendo pressione su un contenitore non rigido con uscita stretta; o, ancora, spremere per gioco la mammella turgida di una mucca facendo schizzare il latte addosso a qualcuno che è nei pressi, zampillio del sangue nel salasso di alcuni animali o nella scannatura del maiale; 5. ma ziḑḑari si usa anche per indicare una levataccia improvvisa (ziḑḑàu d'u lettu chi pariva nu griḑḑu, è saltato fuori dal letto che pareva un grillo) o un moto predatorio del cane da caccia: ampèna u lèpuru scappàu nci ziḑḑau d'arrètu e dopu cinquanta metri nci saddàu d'ancòḑḑu, appena la lepre uscì dal nascondiglio è scattato dietro e dopo cinquanta metri gli saltò addosso; 6. zinzuliare, pigolare degli uccelli.

Teniamo conto che queste parole ricorrevano spesso nello scambio metaforico tra mondo animale e mondo umano di cui era intriso il parlare nella civiltà contadina; oltre ai soprannomi (di cui ricordo Ziḑḑ-u-ni, uomo che va sempre correndo e di cattiva indole, e Ziḑ-ḑ-iàta, donna che non fa figli, infeconda) altri due esempi memorabili: 1. in occasione di un sinistro automobilistico sulla statale jonica 106 un soccorritore, vedendo alcuni automobilisti che cercavano di sfuggire alla fila correndo per una corsia laterale, si rivolse ai frettolosi gridando a voce alta: «E chi, stamatina vi vinni a tutti u ziḑḑ-ùni!»; 2. A un tizio, ricoverato in ospedale per un blocco intestinale, era stato somministrato un abbondante clistere; richiesto dal medico, dopo qualche tempo, su come la cosa stesse andando, rispose prontissimo: «Dottori mi sarbàstivo! Fici due o tri ziḑḑ-ùnati potenti, e ccussì mi libberai!».

Insomma si può concludere che esiste nel dialetto calabro romanzo una area di voci che hanno un tema collegato a ziḑ-ḑ-, zil-l e zij- che deriva dalle parole greche τίλος e τσίλα ed è ad esse omogeneo dal punto di vista semantico e che copre un'area di significati che vanno dalla diarrea degli animali e delle persone, allo scatto e al movimento improvviso di animali, allo zampillio di una fontana o di un animale sottoposto a salasso, allo scivolare sul fango e via di questo passo.

Intanto nello standard …
Molto vessata è la questione del rapporto tra i dialetti e lo «Standard», parola con cui in linguistica si indica la lingua generale di una nazione, codificata nelle scuole e nell'università, usata dalle classi colte e ricche oltreché nella letteratura e negli atti della pubblica amministrazione.
Volendo cercare tracce delle tante parole dialettali, sommariamente evocate sopra, niente o quasi si  rinviene nei dizionari italiani, a cominciare da quello della Crusca che non registra alcuna voce sub zillare, zilla (dato per scontato che la doppia cacuminale dei dialetti calabrese e siciliano è equivalente nello standard alla doppia elle, -ll-); più generoso lo Zingarelli che ha sia «zillo», come voce onomatopeica per «verso acuto e sottile di alcuni insetti» che il verbo derivato «Zillare» «uno o più strilli di alcuni insetti»).
Se passiamo ad un altro lessico fondamentale come il GDLI ritroviamo sempre l'indicazione, per «zillo» e «zillare», della loro origine onomatopeica con riferimento al trillo di alcuni insetti o uccelli; queste due voci sono connesse con e derivate da «zirlo» e «zirlare» (rispettivamente il fischio del tordo e l'azione del fischiare) a mezzo di assimilazione anticipatoria; si tratta anche di voci poetico-letterarie (Aleardi, Carducci, Pascoli) nei cui versi è rintracciabile la corrispondenza fonica tra le parole originarie e quelle derivate.


Il verbo «zillare» in due poesie di Giovanni Pascoli

Il GDLI sostiene antologicamente il legame zillare 'zirlare anche con due citazioni pascoliane tratte da Poesie varie (Bologna, Zanichelli 1913-1914):
1. in un sonetto eteroclito dedicato a Severino Ferrari, amico di Pascoli ed anche lui allievo di Carducci, l'autore si sofferma su un quadro idilliaco in cui il sole («il mago radiante in volto») si avvia al tramonto («Giù per i cieli dïafani e tranquilli») mentre intorno la natura accompagna il viaggio con concerti di rospi, rane, grilli, bacherozzi, rosignoli e borzacchini.
E arriviamo così alla IV strofa, una terzina, e al verbo «zillare»:
Era tutto, da presso e da lontano,
uno zillare sotto le rugiade
nell’infinita chiarità del piano. (p. 56)

Qui, se è esatta la nostra ricostruzione, si nasconde una insanabile aporia: se il sole sta scendendo sull'orizzonte è difficile che i campi siano coperti di rugiada perché in genere questa scompare dopo le prime ore di sole e, soprattutto, dopo che ha percorso l'arco al centro del cielo; e d'altra parte, se putacaso il sole anziché scendere stesse salendo verso lo zenit, gli insetti e i grilli, sommersi dalla rugiada, certo non si sarebbero messi a «zillare» ma avrebbero cercato di sgranchirsi dopo una notte di gelo, magari saltellando di qua e di là.
2. La seconda occorrenza di «zillare» antologizzata dal GDLI la troviamo in un'altra poesia della stessa silloge (L'amorosa giornata, ib. p. 89) in cui la voce verbale viene estesa ai versi di tutti gli uccelli che si sentono nella campagna e, in particolare, allo squittire delle rondini:
E le rondini zillano alle gronde
di qua, di là, vertiginosamente:
Sul distico che precede, e nell'interpretazione di «zillano» come elemento fonosimbolico che sostituisce «squittiscono», si pronunciò Gianfranco Contini: «… , zillano è un elemento essenzialmente fonosimbolico ed evocatore …. Qualche cosa che varca fondamentalmente l'àmbito semantico» (G.Contini, Il linguaggio di Pascoli, in I metodi attuali della critica in Italia, Roma, ERI 1980, 166) o, detto altrimenti e addirittura, «termini dotati di valore semantico registrato nei dizionari, vengono desemanticizzati, utilizzati con una funzione puramente evocativa a partire dalla loro massa fonica: E le rondini zillano alle gronde / di qua, di là, vertiginosamente, dove “vertiginosamente”, collegato all’evocatore “zillano”, passa oltre la sua portata semantica investito in pieno di valorizzazione fonosimbolica.» (https://quintalgia.blogspot.com/p/pascoli-e-la-lingua- contini-e-pasolini.html).

Conclusione
Ci siamo fin qui limitati a elencare i significati di alcune parole dialettali calabromeridonali
collegate con le matrici ziḑ-ḑ-, zil-l e zij- evidenziando la loro etimologia; d'altra parte abbiamo considerato le parole «zillo» e «zillare» in due poesie ottocentesche di Pascoli, tratte da una raccolta postuma curata dalla sorella Maria.
Rileviamo, oltre la gracilità e la «volatilità» degli esiti standard a fronte della dettagliata aderenza di ogni parola dialettale alla realtà designata, l'amaro destino del dialetto che riduce la sua funzionalità  conoscitiva con la scomparsa della civiltà contadina.
È ancora degna di menzione la circostanza che i due versi de L'amorosa giornata sarebbero molto interessanti anche se il significato di «zillano» fosse preso dall'area semantica dialettale calabra, nel senso di «schizzano», fanno giravolte intorno alle gronde, accelerano improvvisamente nel volo; in ogni caso «schizzare», «fare giravolte», «accelerare in volo» si legherebbero alla grande con l'avverbio «vorticosamente», molto di più di quanto non faccia lo standard «zillano»; mancherebbe però l'attrazione censita da Contini tra area semantica ed area fonosimbolica.
Ci potrebbe però essere la remota possibilità che Pascoli, nel suo itinerario di evasione dalla lingua maggiore verso il dialetto di cui parlava Pasolini, avesse incontrato in qualche modo, e tratto benefici fonici e musicali per le sue poesie, le voci grecaniche di Calabria raccolte poi da Rohlfs e alle quali  abbiamo fatto riferimento in apertura di questo lavoro.