L'ANTIMAFIA. Meno militarizzazione più stazioni di lavoro

L'ANTIMAFIA. Meno militarizzazione più stazioni di lavoro

antimafiaDI GIOVANNI SCARFO' - … c'è da segnalare un episodio che ha visto il dottor Paolo Borsellino scavalcare, nell'assegnazione al posto di procuratore della repubblica di Marsala, un altro concorrente più anziano, perché questi non era stato mai incaricato di processi contro la mafia...
Anche nel sistema democratico può avvenire che qualcuno tragga profitto personale dalla lotta alla delinquenza organizzata - Uomini pubblici che esibiscono a parole il loro impegno contro le cosche e trascurano i propri doveri amministrativi.
L. Sciascia, Corriere della Sera, 10 agosto 1987


Chi contesta in buona o cattiva fede le rappresentazioni dell’antimafia, richiama stancamente sempre la frase di Sciascia sui suoi “professionisti”, scritta in polemica con la promozione di Paolo Borsellino a Procuratore della Repubblica; però, pochissimi provano a ricordare quanto ebbe a dire lo stesso giudice: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.

E la radio ne ha parlato qualche giorno fa su Radio 3, all’interno della trasmissione quotidiana Tutta la città ne parla. Il titolo:“L’antimafia dentro di noi”, prendeva spunto da una telefonata di una ascoltatrice di Cosenza, Marta, durante la lettura dei giornali del mattino: “purtroppo la frase di Sciascia è diventata uno slogan, nel senso che-abitando a Cosenza- la mafia la conosco un po’- è sicuramente uno dei temi centrali e servono dei professionisti per combatterla; servono forse anche delle associazioni…detto questo forse quello che manca è l’antimafia quotidiana in ciascuno di noi…”

D’accordo con Galli della Loggia che tutti i “cittadini che avversano l’ illegalità lottano contro la mafia”, è anche vero che quando si parla di mafia e antimafia si fa di sovente una grande confusione (spesso programmaticamente ricercata e voluta), anche e soprattutto dopo i casi Girasole e Canale(del resto è come se di fronte a giornalisti corrotti che “lucrano” sui cittadini con i vari “metodi Boffo”, chiedessimo di chiudere i giornali – tanto ci sono i social-network, twitter, blog - e le stese considerazioni li potremmo fare con tutte le altre professioni. In definitiva la soluzione per Galli Della Loggia è quella di aprire più Stazioni dei Carabinieri. Ma allora torniamo al punto di partenza, e cioè la proposta della militarizzazione del territorio, mentre forse sarebbe il caso di aprire più stazioni di lavoro.

A proposito dell’antimafia dei convegni ecc.: ci possono essere degli eccessi, sicuramente, però stiamo dimenticando quando al sud i cittadini non riuscivano a venire fuori dall’isolamento in cui si erano ed erano stati allocati, nel senso che il nord fino agli anni ‘90 ha sempre pensato che la mafia fosse un problema del mezzogiorno, senza accorgersi - o facendo finta- che da loro andava tutto bene. Certo, non possiamo dimenticare che lo Stato ha contribuito a questa “unità d’Italia” mandando i mafiosi al nord al “soggiorno obbligato”, consentendo loro di radicarsi sul territorio e di organizzare anche tanti sequestri di persona.
Chi non ricorda i tanti giornalisti che scendevano al sud, in occasione dei sequestri di persona o altri avvenimenti, e ficcavano al primo passante un microfono in bocca chiedendo: “lei ha visto qualcosa? No, quindi “omertoso”. Chi non ricorda le infuocate puntate delle trasmissioni di Santoro che provocavano un muro contro muro da cui era difficile uscire, perché i mass-media chiedevano cambiamenti visibili, i cittadini del sud un nuovo modi di approcciarsi da parte degli stessi, nel senso di non realizzare trasmissioni televisive o articoli di giornali partendo già da una criminalizzazione a prescindere.
Gli interventi di Aldo Varano, Filippo Veltri e Nicola Fiorita costituiscono le basi sulle quali costruire un nuovo modo di intendere l’antimafia. Però, per una maggiore completezza e chiarezza sul significato di “antimafia”, vorrei riportare le parole di Claudio Fava che ha partecipato alla stessa trasmissione, rispondendo alla domanda di Galli della Loggia: “l’antimafia ha mai misurato la propria efficacia”?

<<Io credo che sia anche giusto un approccio dubbioso e critico che in parte riconosco nell’editoriale di Galli Della Loggia – risponde Fava- cioè il fatto che la mafia per taluni possa essere diventato un brand, di moda e di utilità; che c’è una mafia del sembrare che ha anche favorito alcune carriere; ma io vorrei conservare intatta la mia attenzione ad una antimafia del fare che non contrapporrei affatto – e sarebbe una errore catastrofico- alle caserme dei carabinieri. Noi non possiamo pensare che l’alternativa alle caserme di carabinieri sia aiutare le cooperative dei ragazzi che hanno assunto la gestione dei beni confiscati ai corleonesi. Perché se creiamo questa contrapposizione è la fine. Io credo che in Italia abbiamo bisogno di entrambe le cose. Io credo che c’è stato un associazionismo prezioso per la storia d’Italia. Ci sono voluti Libera e un milione di firme raccolte anni fa per modificare la legge La Torre al fine di destinare i beni confiscati a usi socialmente proficui; eppure c’erano sette disegni di legge presentati e seppelliti nei cassetti della camera e del senato da molti anni. Credo l’attività che ha saputo fare Libera in questi anni e la cooperativa di Corleone - anche sul piano dei simboli, sapendo bene quanto siano importanti insieme alla quantità di ergastoli appoggiati sulle spalle dei mafiosi – abbiamo prodotto molti danni ai corleonesi Provenzano e Riina, soprattutto perché costretti ad “ammettere” che i loro beni non erano stati solo confiscati, ma erano diventati utili nel senso che avevano realizzato il criterio delle convenienza. Pertanto, c’è un’antimafia che produce convenienza e un’antimafia che produce apparenza. A quell’antimafia che fa dire quanto conveniente sia sbarazzarsi di una mafia che ha soltanto soppresso diritti, io credo che noi non dovremmo rinunciare per fare caserme dei carabinieri; dobbiamo farle, certo, ma dobbiamo anche consentire alle aziende che sono state confiscate alla mafia di avere un percorso di avviamento alla legalità e un accesso al credito diverso dalle altre aziende; al fine di permettere una gestione manageriale e non burocratica come avviene adesso, che permetta di avere un albo dei custodi giudiziari…>>

Su questo siamo d’accorso - risponde Della Loggia - perché sono percorsi produttivi; ma altra cosa sono i vari assessori siciliani, calabresi o napoletani che si vantano di organizzare e/o partecipare a convegni dove si parla di mafia…

Fava: << me ne rendo conto, ma questo è l’epifenomeno, l’eccesso… A Palermo, dieci anni fa, non c’era un gioielliere o un commerciante che non pagasse il pizzo, felice di pagarlo perché gli consentiva di scalare una serie di costi sulla propria gestione… Tutto questo è andato in crisi non perché è stato organizzato un convegno, ma perché un gruppo di ragazzi, tra i quali i figli di quei commercianti, ha deciso di lanciare una campagna con un volantino che aveva un titolo esemplare: “chi paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Da un giorno all’altro si è messo in crisi un costume culturale, per cui oggi la situazione in tante città è molto diversa da quella di dieci anni fa. Se ci son, infatti, molte aziende e commercianti che non pagano il pizzo, se c’è una attenzione, una particolare sensibilità verso questi commercianti, lo si deve al fatto che un lavoro culturale è stato fatto, perché l’azione repressiva non basta…>>

-A che serve fare azione culturale, chiede il conduttore della trasmissione

Fava:<< l’azione culturale ha formato una generazione. Quando io avevo vent’anni non c’era, quando io avevo vent’anni vivevo in una città in cui il prefetto inaugurava una concessionaria d’auto di Santapaola e il procuratore delle Repubblica era sul libro paga della cosca catanese. Tutto questo accadeva abbastanza alla luce del sole, non c’era nulla di clandestino o di perverso: era solo una dimostrazione della mafia come sistema di potere profondamente radicato nella società civile, culturale, economica…Se oggi non è così lo dobbiamo alle caserme ei carabinieri, lo dobbiamo alla attività dei magistrati, ma anche ad un sentimento condiviso che ha fatto percepire la lotta alla mafia come un sentimento di democrazia, e questo ha fatto crescere una generazione di ragazzi che, per esempio, ha scelto di fare il magistrato una notte del 1982, di fare il commissario di polizia quando hanno ucciso Cassarà e Montana…ci sono ragazzi che hanno scelto di fare i giornalisti, e fanno i giornalisti in Calabria a cinque euro al pezzo rischiando la pelle ogni giorno, spesso pesantemente minacciati e mai messi in regola dai loro giornali. E molto probabilmente questi giovani giornalisti hanno deciso di farlo ricordando i loro colleghi anziani uccisi. Quindi esiste una consapevolezza che un tempo non c’era. Se anni fa avessero confiscato il terreno di Riina a Corleone, nessuno avrebbe messo piede in quella terra. Se oggi ci sono venti ragazzi che vivono e danno da vivere e che esportano olio, vino, pasta che porta le stimmate di una battaglia dell’antimafia, utile e conveniente, ci sarà pure un motivo…>>.