
Ci si è autoproclamati buoni, si è dato il titolo ad amici, seguaci. Si è diviso il campo. Si è stati di qua o di la non per meriti, ma per decisioni altrui. Non si è capito che il bene non ha padroni, è un fatto, obiettivo, che connota ogni nostra singola azione che sarà giudicata buona o cattiva dagli altri, non da noi stessi. E ognuno di noi può agire sempre bene o sempre male, a volte bene e altre no. Ma nessuno di noi può arrogarsi il diritto di auto eleggersi santo. La vita di tutti è fatta di buone e cattive azioni e quella civile di violazione o rispetto delle regole. Il giudizio spetta agli altri. Il mondo non cambia con i solo buoni, muta e migliora quanto più persone migliorino il loro agire.
La Calabria sta peggio di tanti anni fa perché si è detto che il bene sgorgasse da poche fonti e quando i pozzi sono isolati si avvelenano, si controllano facili. L’acqua benedetta invece di innalzare le anime è servita a trasformare i brocchi in cavalli di razza, senza tener conto che non basta essere buoni per diventare bravi giornalisti, grandi scrittori, attori, politici. L’acqua ha annaffiato le carriere dei mediocri, i bravi non ne hanno mai avuto bisogno. Le chiocce del bene spesso hanno sistemato i pulcini in posti di poca fatica. E per essere chiari, forse le eroine finite nella polvere(se sarà dimostrata la loro colpa) erano le eccezioni di un sistema sano o, tenuto conto della casualità dell’interessamento della legge nei loro confronti, sono la punta di un tessuto solidale logoro.
E ora, una riflessione si pone, se no fra vent’anni staremo ancora a discutere di diavoletti che si erano proclamati santi anche se i loro miracoli non avevano mai salvato nessuno. Il bene è di tutti, di chiunque voglia operarlo, non può continuare a essere appannaggio di unti che il Signore non ha toccato di striscio.