di ALDO VARANO - E’ un vero peccato, anzi un sacrilegio, che lo scambio di battute tra papa Francesco e Scalfari su mafie e chiesa sia stato affogato nelle ricostruzioni enfatiche e dei luoghi comuni del dopo Oppido.
In quelle poche parole c’è invece (è la mia opinione) la comprensione reale del tema e delle difficoltà profonde che presenta.
Scalfari chiede a Francesco di poter parlare di mafie. Ottiene il permesso e Francesco, che pochi giorni prima ha (avrebbe) scomunicato i mafiosi, lo avverte: «Non conosco a fondo il problema delle mafie, so purtroppo quello che fanno, i delitti che vengono commessi, gli interessi enormi che le mafie amministrano. Ma mi sfugge il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. In Argentina ci sono come dovunque i delinquenti, i ladri, gli assassini, ma non le mafie... Lei è di origine calabrese, forse può aiutarmi a capire».
Scalfari non si tira indietro: “Il poco che posso dirle è questo: la mafia -sia calabrese sia siciliana sia la camorra napoletana- non sono accolite sbandate di delinquenti ma sono organizzazioni che hanno leggi proprie, propri codici di comportamento, propri canoni. Stati nello Stato. Non le sembri paradossale se le dico che hanno una propria etica”. Fin qui siamo alle osservazioni da non da esperto su quel che si dice delle mafie. Poi l’ex direttore di Repubblica, che da laico e non credente s’è interrogato spesso sul mistero della vita dell’aldilà e della religione, sgancia la bomba: “E non le sembri abnorme se aggiungo che hanno un proprio Dio”. La conclusione è lapidaria: “Esiste un Dio mafioso”.
Il lettore immagina che Francesco si alteri per quest’idea così abnorme del dio mafioso. Immagina che il rappresentate di Dio in terra lo redarguisca severamente, gli intimi di non bestemmiare Dio.
Invece Francesco resta calmo e riflessivo. Non trova abnorme l’dea di Scalfari. Anzi, dice: “Capisco quello che sta dicendo …” e prosegue con valutazioni di grande interesse che non servono direttamente al nostro ragionamento.
Domanda: perché Francesco non si ribella quando Scalfari gli dice che esiste un dio mafioso? La risposta mi sembra scontata: il Papa ha capito che Scalfari parla di un dio diverso da quello dei cristiani. E siccome di Dio, per i cristiani, ce n’è uno solo, quell’altro della mafia e dei boss è necessariamente un dio altro che riesce a vivere solo nello spazio dell'ampia residualità pagana dovuta ai ritardi nella evangelizzazione e la mancata conversione di grandi blocchi di ceti popolari dell’Italia meridionale debolmente modernizzata.
Così posto il problema, e a me pare posto correttamente, ne discendono conseguenza che spazzano le vagonate di parole consumate dopo Oppido. Intanto, se così stanno le cose, non esiste un problema del rapporto tra la Chiesa e la mafia, ma quello straordinariamente più importante e drammatico, che è problema interamente interno alla Chiesa, del recupero di grandi masse alla comunità cristiana – della conversione al cattolicesimo di realtà pagane - che significa prima di tutto comunione con Dio e recupero di una fede da testimoniare con gioia e sofferenza. Ne deriva che è falsa l’affermazione per cui chi si affida ai santini bruciati e prega invocando la protezione di Dio o della Madonna prima di uccidere un essere umano “si colloca fuori dalla Chiesa di Cristo”. Chi si comporta a quel modo non è mai arrivato né entrato nella chiesa di Cristo e non la conosce essendosi fermato a una delle tante varianti vetero o neopagane.
Ma soprattutto ne deriva anche un’altra (minore) conseguenza: è debole e fragile (purtroppo) l’illusione che sia possibile assestare colpi decisivi per la sconfitta della ‘ndrangheta negando il Dio cristiano ai mafiosi, per il semplice motivo che i boss vivono di un altro dio quello che si sono creato a propria convenienza: il dio evocato da Scalfari e Francesco, estraneo da qualsiasi comunione con Cristo. I boss sono s-comunicati perché conducono una vita estranea ai valori e agli insegnamenti di Dio e della Chiesa e quindi non sono in comunione con Dio, che è il significato tecnico-religioso del termine scomunicato. E’ per questo, quindi, che Francesco non ha detto: “mafiosi io vi s-comunico” ma a preso atto che chi vive uccidendo e nel malaffare è fuori dalla comunione con Dio e quindi (e vale anche per altri stili di vita) privo di comunione, cioè è s-comunicato. La Chiesa non (s)comunica, quindi, prende atto che chi non vive secondo le sue indicazioni non è più in comunione con Dio che è esattamente, mi pare, quel che ha fatto Francesco in Calabria: i mafioso sono fuori dalla comunità cristiana. (S)comunicati, che è stata parola liberatoria e densa di conseguenze e progetto di lavoro per la Chiesa.
E’ vero che vietare la vita della Chiesa ai boss significa indebolirli impedendogli di utilizzare il prestigio della cristianità. Ha ragione chi (Gratteri) dice che i boss (soprattutto nei centri meno modernizzati) utilizzano le processioni e gli inchini per rafforzare il loro prestigio agli occhi del popolino. Saperlo è importane e serve. Bisogna però anche sapere, evitando semplificazioni depistanti, che sarebbe un grave errore, rispetto alla sconfitta della ‘ndrangheta, immaginare che la si possa colpire in modo significativo attraverso l’eliminazione degli inchini e dei riti, pratiche rispetto a cui la Chiesa ha un problema gigantesco connesso alla spiritualità di grandi masse. L’illusione di colpire la mafia su riti ed inchini, si fonda sulla banalizzazione di una questione molto complessa la cui soluzione è affidata a tempi storici non brevi.
E’ questo, io credo, a spiegare la cautela della Chiesa rispetto al tema: i vescovi, la Chiesa sono consapevoli di dovere affrontare con una radicalità inedita (e cancellando antiche e pesanti responsabilità) l’approdo a una spiritualità diversa.
Il potere dei boss non dipende dalla ritualità religiosa. E’ il potere intimidatorio del vincolo mafioso il cuore del potere delle mafie; non il risvoltino di processioni ed inchini.
P.S. Questo articolo è stato scritto domenica 27 luglio e non è apparso prima per problemi di programmazione editoriale. Per questo non ha tenuto conto del contributi preziosi successivi a quella data come l’intervista del 2 agosto di Ms Morosini.