La velocità immobile della Calabria di Falcone

La velocità immobile della Calabria di Falcone

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I mali provocati dal regionalismo in Calabria sono tra i punti cardini di un lavoro che definire giornalistico e’ poco e definire di ricerca e’ riduttivo di Enzo Falcone. Si chiama ‘’Calabria, la velocita’ immobile’’ e attraverso il libro recentemente edito da Citta’ del Sole l’autore ha ripercorso tutti i 45 anni di vita dell’Istituto regionale e gli effetti perversi che gran parte della classe politica locale ha provocato nella gestione della cosa pubblica, a livello di sprechi, illeciti arricchimenti, corruzione e rafforzamento della criminalità organizzata.

Nei primi trent’anni di vita della Regione si sono succeduti 21 Presidenti, rimasti in carica, in media,  16 mesi, dopo lunghissime crisi politiche che cumulate, nell’intero periodo, hanno creato un vuoto di governo pari ad un’intera legislatura regionale.

Non certamente migliore si è rivelata l’azione politica dei tre governatori (Chiarvalloti, Loiero, Scopelliti) i quali nulla hanno fatto per liberare la Calabria dall’immobilismo che l’affligge.

Per meglio comprendere questo “immobilismo”, l’autore analizza, con una “breve passeggiata nella storia”, anche i mali antichi che hanno afflitto, senza soluzione di continuità, la società ed il territorio regionale, vittime delle colonizzazioni, delle invasioni selvagge, dell’assolutismo del sistema feudale, della prepotenza delle classi dominanti e della insensibilità della chiesa che hanno costretto le popolazioni locali a vivere nella miseria, nella rassegnazione, nel fatalismo e senza prospettive di crescita.

Non a caso, pur in presenza di 62 miliardi di euro di risorse ordinarie, straordinarie e comunitarie direttamente assegnate alla Regione dal 1950, la Calabria continua a collocarsi agli ultimissimi posti nella graduatoria delle regioni italiane ed europee: sempre povera, sempre disoccupata, sempre indifesa dal punto di vista territoriale, sempre preda e vittima di affaristi senza scrupoli, di clientelismi e localismi sfrenati, all’interno dei quali pascola e s’ingrassa la ‘ndrangheta.

Tuttavia, pur in presenza di tutti questi “inibitori” dello sviluppo, l’autore non cede il passo al pessimismo e cerca di individuare i possibili percorsi per costruire una nuova Calabria  che, a suo avviso, non è un “deserto indistinto”, attraverso un patto che nasca dalla volontà di cambiamento dei cinque pilastri della crescita: istituzioni, famiglia, scuola società civile organizzata e chiesa.