di GIUSEPPE TRIPODI
- Bastùni, bastone; considerato incerto dal punto di vista etimologico dallo Zingarelli in realtà potrebbe avere origini analoghe al neogreco mpastoùni che ha lo stesso significato.
La parola assume in sè sia l’oggetto, arma di difesa e di offesa ottenuto da un ramo di legno particolarmente robusto, sia il simbolo e la metafora del potere; si veda il verbo greco schèptomai (mi piego su , mi soffermo per decidere, da cui scetticismo, grande e filosofica parola) da cui deriva schèptron, bastone e scettro ad un tempo. Alla parola greca e alla sua radice rimanda il latino scapus, manico, gambo, fusto.
La lingua latina aveva anche rudis, il bastone del gladiatore, che veniva assegnato in senso di distinzione ai gladiatori sopravvissuti ed esonerati dai combattimenti che rude donati dicebantur. Sicché Orazio, come testimonia Erasmo (Adagiorum collectanea, Torino, Einaudi 2013, p. 396), si lamentava con Mecenate che voleva tirare lui, donatum jam rude, cioè ormai dotato del bastone della pensione, di nuovo in mezzo agli antichi conflitti: iterum antiquo me includere circo.
In calabrese il bastone del capo è la capìnta, capi(n)t(a)is,(?), senza legami etimologici alternativi e senza uguali o analoghi nelle altre lingue, dalla cima ricurva come il lituus degli àuguri nell’antica Roma o il pastorale dei vescovi nella chiesa cattolica; la capìnta è anche il bastone dei pecorai che la usano per incappiare il bestiame minuto o per sollecitarlo. Non è un caso che i pecorai fossero il ceto più numeroso all’interno dell’onorata società. L’accrescitivo capintùni indica un oggetto di particolare grandezza e robustezza.
Nella onorata società le capinte (come i coltelli e le sferre) venivano usate per i duelli iniziatici delle reclute e per decidere le questioni di supremazia tra gli aspiranti capi: chi vinceva diventava capubastuni, parola composta che indica sia “il capo del bastone” che il “capo col bastone” ( J.B. Trumper, M. Maddalon, A. Nicaso, N. Gratteri, MALE LINGUE vecchi e nuovi codici delle mafie, Cosenza, Pellegrini 2014, p. 183-184, dove si parla di bastoni intarsiati trovati a casa di capimafia; ma la cosa, a meno che non si voglia universalizzare la mentalità degli inquisitori, potrebbe essere poco significativa perché l’arte di intagliare i bastoni o il piacere di detenere un bastone intagliato potrebbe entrarci poco con l’appartenenza all’onorata società).
Ma il calabrese conosce altri lemmi indicanti tipi particolari di bastoni:
- Ramìda, dal greco ràbdos, bastone, asta, da cui rapìs-idos, verga, e il verbo rapìzo, batto con verga, greco bovese raddi (raddìa, bastonata, Raddìa, Bastuni, la costellazione di Orione, raddizzo, bastono); la parola indica la verga tratta dall’albero di melograno con cui veniva battuto il bestiame ma anche i ragazzi inquieti; è diffuso anche ramidùni, specie di pertica lunga e sottile con cui si bacchiavano anche le olive. Chiara la parentela con rabdomante, colui che maneggiando un ramo riesce a localizzare la presenza dell’acqua.
- velàtru, dal greco Bélos-ous, freccia, giavellotto, ma anche pungiglione dello scorpione; in realtà il velatro aveva tutte le caratteristiche dei termini sopra elencati: assomigliava alla freccia perché aveva la punta di ferro e l’asta di legno, al giavellotto per la sua lunghezza e al pungiglione dello scorpione per la sua funzione: si otteneva facendo essiccare un ramo di olivo di circa due metri; poi, nella parte più sottile e terminale, si ficcava un chiodo di cui si tagliava la testa; ne rimaneva così la punta ben ficcata nel bastone di modo che il contadino, impugnandolo dalla parte più grossa, pungolasse le bestie nel corso dell’aratura e della trebbiatura.
- Virga (anche birga per laconsueta, specie nella Calabria meridionale, intercambiabilità tra la labiale e la fricativa labiodentale), dall’omonima voce latina collegata a virescere, verdeggiare, che indicava i bastoni sottili di cui erano costituiti i fasci littori con cui venivano sferzati i rei di particolari delitti; il calabrese registra anche l’accrescitivo virgùni;