di CONSUELO NAVA
- Viviamo in società così aperte e mobili, in città così ambiziose di democrazia ed inclusione, che appena ci chiedono come possiamo stare con altri diversi da noi, accade che diventiamo più xenofobi, omofobi e razzisti.
L'insicurezza con cui affrontiamo questo tempo è la prova con cui non riusciamo a prepararci all'idea che il mondo non è già dello stesso colore, religione e sentimento da tempo. Che i paesi non hanno la stessa storia, che le nazioni, al di là dei loro riferimenti geopolitici, Europa, Americhe, Africa...sono fatti di persone e umanità chiamate a capire il loro presente nel futuro da scegliere, a prescindere dalle politiche contemporanee.
L'aumento delle paure è l'indice del basso livello di qualità della vita anche nel nostro paese, una sorta di ritorno a modalità medievali. Più è basso il nostro PIL, più difendiamo una sicurezza che pensiamo di controllare abbassando i rischi che può provocare il cambiamento. Il senso di impotenza che ci prende a doverci sentire inadeguati in termini umani, di organizzazione civile, di strumenti per un futuro così differente e sostenibile, ci rende tutti "con la paura che fa novanta" o al massimo, quando ci sentiamo accoglienti, ci autoeleggiamo buoni con azioni assai maldestre e confuse.
Sia che si alzino muri o che si accolgano profughi nelle strutture delle nostre città, si rischia di essere ugualmente demagogici e di più senza grandi intelligenze nel comprendere la portata del fenomeno, che non è né momentaneo, né caratterizzato, né nuovo. Né legato unicamente alle guerre ed al lavoro e che presto si scapperà dai propri paesi per carestia, che toccherà peraltro anche a regioni della nostra Italia ed Europa.
Sembriamo in ritardo e assai confusi quando ci ritroviamo a dover rimettere in piazza umanità alternate tra le giornate dei gay pride e dei Family day, in città dove gli albi delle unioni civili divengono erroneamente i baluardi di diritti e comportamenti, per natura non amministrabili; o quando si operano vere e proprie azioni di ronda etnica, tentando di trovare posto e legalità alle famiglie rom che da decenni abitano le nostre periferie e si scelgono soluzioni altrettanto di emarginazione per tutti i cittadini. Sono i fatti di questo tempo di paura: accade nel nostro paese ed anche nelle città della Calabria.
Accade così che viviamo in uno stato di ansia perenne. Ogni paura alimenta la successiva e soprattutto è lontana ed avulsa da qualsiasi esperienza specifica. La paura personale dello straniero, del gay e del rom, è davvero individuale ma diventa collettiva quando questi altri diventano un'altra umanità da allontanare, una diatriba etica e/o politica, perché diciamolo, occorrerebbe uno sforzo ed un pensiero in più per andare oltre. Ed i diritti che dovrebbero essere il vero antidoto alla paura, sono difatti un esercizio assai difficile in questo tempo di povertà. Il paese quasi tutto ed il Sud per primo lo sa, chi è povero non può pensare ad un futuro per costruire diritti ... deve cercare risorse, pensando che siano cosa altra o al massimo affidarsi al demiurgo di turno o abbandonarsi alla miseria storica.
La politica degli ultimi vent'anni, praticando a destra e sinistra il neoliberismo ha usato la cultura delle paure, attingendo alle sue riserve. Così avere paura dello straniero è di destra, avere paura dei cambiamenti climatici diventa di sinistra. Ma di fatto si tratta solo dell'incapacità di rendere sicuro uno stato sociale per i "normalmente" classificabili cittadini, figuriamoci per gli altri che si aggiungono. Il risultato è che ad enfatizzare e alimentare la paura, la gente comincia ad accettare di buon grado anche ciò che viene rappresentato come una conquista od una soluzione necessarie, mentre sarebbe un diritto assai normale, segnale di volontà di cambiamento e quindi impegno di responsabilità.
Alziamo muri, escludiamo dai nostri territori, recintiamo spazi etc, perché crediamo che solo così non siamo costretti a ritrovare nelle nostre città, anche fisicamente, spazi morali dove ridiscuterne altre definizioni. Esercitando così la paura di noi stessi e delle nostre incapacità verso gli altri e la ricerca di soluzioni collettive condivise.
Ma per la verità sarebbe arrivato il momento di pensare, che "una società che ha paura è una società pericolosa", esclude, ammazza, si suicida, segrega e soprattutto muore di se stessa nell'insicurezza del presente e nell'incertezza del futuro.
Non so se possiamo ancora attribuire queste colpe di paura all'Europa, all'Italia, alla politica o alle nostre nazioni, credo che si tratti ancora di "umanità". Quella sostanza senza la quale è impossibile costruire comunità, città e unioni di stati, nazioni, garantendo senza paura il diritto alla differenza ed alla città per tutti. Nessuno escluso, nessuna esclusa.
*Edvard Munch, olio 91 per 76, 1893.