LA PAROLA e LA STORIA. Coppu

LA PAROLA e LA STORIA. Coppu
coppi
 Coppu
, contenitore concavo, radice e significati antichissimi diffusi in tutte le regioni che si affacciano sul Mediterraneo, a cominciare dall’accadico Kuppu (pozzo, contenitore di acqua) e quppu (cassa), egiziano kapp, arabo quffa ed ebraico quppa, tutti con significato di cesto, greco classico gupe, cavità, che era anche una fessura nella roccia dove nidificava l’avvoltoio, gups, etrusco capys, cosiddetto perché aveva i piedi incurvati verso l’interno (Semerano); la gùpe greca aveva un diminutivo gupárion,  piccolo nido di avvoltoi a forma concava, il cui suono ritorna nel calabrese cuppàru, prenditore per fichidindia ricavato da una pala concava e semisecca della stessa pianta, nonché nel cognome bovese Cùppari.

Il greco poi, per indicare il recipiente concavo da cui si beve, si sposta dalla cosa all’azione: potizo, servo da bere > potos, bevanda > potérion, coppa (Néstoros eúpoton … potérion, <<Di Nestore la coppa buona a bersi …>>) e, forse, anche > potamòs, fiume, canale che porta la bevanda per eccellenza, l’acqua dolce.

Il latino continua invece con cupa, grande contenitore, barile, botte (il sardo logudorese usa il calco cupa, botte); per i latini vinum de cupa, era il vino giovane e non pregiato che si usava nelle taverne.

Da cupa fuoriuscì il tardo latino cuppa (coppa, bicchiere con il piede, recipiente in cui il contenuto della botte, sia esso acqua o vino, si versa per essere sorseggiato) che generò figli  in quasi tutte le lingue europee, non solo in quelle neolatine: copa, (sp., cat., port.), coupe (fr.), cup (ing.), Kappe (ted.), Kuba (mag.). etc., etc.;

Nel romanzo delle lingue peninsulari c’è stata una biforcazione: la lingua italiana ha privilegiato ‘coppa’ e i suoi derivati (coppiere, coppino, coppatura, coppellare, coppella, etc., etc. ) mentre il maschile ‘coppo’ lo usa solo nel significato di ‘tegola’; nel dialetto calabrese le parole collegate con la filiera semantica che abbiamo delineato sono volti verso i significati verbali collegati al ‘coprire’ relegando nella residualità quello di ‘contenere’; potremmo dunque dire che l’oggetto (la ‘coppa’, il ‘contenitore concavo e i loro significati) si sono ‘rovesciati’ passando ad indicare fondamentalmente le attività di ‘copertura’ e le ‘cose concave’ che coprono.

Coppu: a) strumento di pesca comune alla Calabria e alle lingue iberiche (copo, bolsa o saco de red con que  terminan varios artes de pesca), u coppu ha un manico di canna o di legno e termina con un ovale (per lo più di ferro come il cesto del basket) cui è appuntata la rete. Serve per lo più a pescare, da terra e in primavera quando c’è il mare calmo, le seppie e i polipi. Si lega l’esca, fatta di pesce azzurro o di neonata, alla lenza e la si butta in mare, ritraendola pian piano; la seppia, seguendo l’esca, si avvicina alla battigia ove il pescatore le passa con cautela il coppo sotto e lo solleva.

Nell’antifrasi i va cercandu c’u coppu  si biasima chi, nella ricerca degli amici o del partner, invece di procedere con la prudenza del pescatore, si sbilancia facilmente  rimanendone spesso scottato.

b) contenitore (per aridi, caramelle, castagne, lupini, noccioline e simili) a forma di cono che si otteneva arrotolando intorno alla semibase minore un rettangolo di carta paglia; per esteso viene chiamato coppu anche il sacchetto di carta in cui si incartava il pane e gli insaccati (accadico kuppupu, cosa ripiegata); usato anche il diminutivo coppiceddhu

c) coppi  (pluralia tantum) erano le foglie che incamiciavano la pannocchia del gran turco e che, una volta seccate, venivano usate per riempire i materassi e i pagliericci in genere; chi aveva anche i materassi di lana usava quelli di coppi solo nel periodo estivo perché erano più freschi;

d) coppi o ncoppi (pluralia tantum) erano dei bicchieri di vetro che venivano intiepiditi ed applicati alle spalle per curare il mal di schiena: ‘Zappai tutta la jornata ma quando tornai a la casa mi fici jettari du ncoppi di me mugghieri sinnò era murutu! (‘Ho zappato tutta la giornata ma quando sono andato a casa mi sono fatto buttare due ‘ncoppi’ da mia moglie; altrimenti sarei morto dal dolore!’);

e) Coppi, il seme delle carte napoletane; chiamai coppi e tu nci isti a iddhi a bastuni si usava dire nel gioco del tresette quando un giocatore, attraverso lo scarto, faceva capire al compagno che doveva giocare a coppe e quello, o perché non aveva carte di quel seme o perché era stato disattento, aveva giocato ad un altro palo; l’espressione indicava metaforicamente l’incomunicabilità tra persone;

 Rohlfs nel suo dizionario calabrese elenca tante altre voci riconducibili alla ‘coppa’. Ne scegliamo alcune tra le più significative: a) coppareddha: il prolungamento del fiore della ghianda che, consolidandosi a forma di semisfera, svolge la funzione di reggere il frutto (carpoforo in italiano), b) coppareddhi (soltanto plurale) gioco infantile che consiste nel far rotolare da un piano inclinato o nel lanciare in alto dei sassolini, delle nocciole o altri piccoli oggetti di forma sferica, con l’intento di farli arrivare ad una fossetta nel terreno a forma di coppa; chi ci riusciva vinceva le cose che ne erano rimaste fuori; c) copparelli, gioco dei bussolotti praticato nelle fiere dai prestigiatori che, dopo aver agitato due grossi dadi dentro contenitore a coppa chiudendone l’apertura con la sua mano, effettuavano una gittata per chi decideva di partecipare al gioco ed una per sé stessi; in genere vinceva quasi sempre il copparellaru e la parola, fuori da quel contesto, diventò sinonimo di imbroglione.