UNO. La Treccani, la cui autorevolezza è fuori discussione, alla voce “Infodemìa” spiega: “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. E’ la descrizione scientifica che è possibile ricavare dalla lettura attenta degli articoli quotidiani, pubblicati in quantità industriale sui giornali, sull’argomento, impropriamente unificato e incrociato, dei prossimi inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi, Mattarella e Draghi.
A dirla tutta con onestà intellettuale (categoria notoriamente conflittuale con la scienza della politica) tutte le proposte fin qui avanzate per il Quirinale, per essere correttamente comprese, vanno prima tradotte usando il vocabolario degli interessi personali, di gruppo e/o di parte (la ormai piccola parte-partito), di chi le avanza.
La confusione è dovuta alla circostanza per cui quanti intervengono sul Quirinale, fondendosi nel corpo confuso dell’infodemìa, vogliono in realtà raggiungere obiettivi che poco o nulla hanno a che fare col Quirinale e col fondamentale ruolo di arbitraggio che la Costituzione assegna a chi abita quel Palazzo. Un ruolo, si sostiene in modo diffuso e quasi unanime, che è stato assolto con grande sapienza, equilibrio e, soprattutto, correttezza da Mattarella. Non è un caso che si siano pentiti, più che per tutti gli altri propri peccati (politici) messi assieme, quanti in passato lo avevano minacciato addirittura di impeachment. Ma attenzione ai trucchi, anche quelli involontari: dietro tanta riverenza per Mattarella c’è, prima di tutto e adeguatamente nascosta, la felicità e la contentezza dell’attuale ceto politico dominante dei partiti (tutti in crisi e in feroce competizione) per la circostanza che Mattarella (sembra) essersi chiamato irreversibilmente fuori dalla continuazione della propria esperienza da Presidente. Possibilità, peraltro non vietata dalla Costituzione.
Va chiarito che non si tratta del miserabile retropensiero per cui il (presunto) niet di Mattarella libera un posto appetitoso e di grande pregio a cui dare la caccia. La stragrande maggioranza dell’attuale ceto politico è consapevole di non poter aspirare a un ruolo così rilevante e prestigioso. Anche le sue punte più alte sanno che la crisi della politica italiana è talmente profonda da impedire perfino la promozione e l’utilizzo di quel che di meglio al momento sulla piazza c’è. E’ a dir poco sorprendente che un leader come Prodi si sia lucidamente autoescluso con tanta nettezza dalla gara quirinalizia e che il solo politico ad autoproporsi esplicitamente per occupare la poltrona di Mattarella sia Berlusconi, che ha alle spalle una storia di incarichi di straordinario rilievo ed autorevolezza ma sempre aspramente discussi e, soprattutto, divisivi.
Insomma, il no di Mattarella non fa la felicità, sottintesa ma facilmente percepibile, del ceto politico italiano perché s’è liberata la casella più prestigiosa della Repubblica su cui allungare le mani. Nessuno osa sperare di poter occupare quella postazione di così vertiginoso prestigio. Ma tutti immaginano di poterla utilizzare per liberare Palazzo Chigi mandandoci l’attuale inquilino e, quindi, liberando la casella a cui aspirano pezzi di Pd e Fdi, dei 5s e della Lega, perché è Palazzo Chigi l’anima del controllo e della direzione del paese.
Quando i giornali scrivono (e più o meno l’hanno scritto tutti) che se Mattarella optasse per il raddoppio del settennato la partita Quirinale sarebbe (per tutti e nessuno escluso) felicemente e facilmente chiusa in quattro e quattr’otto, scrivono “articolesse” che i seguaci del Circolo di Vienna definirebbero non verificabili e quindi prive di senso. La verità è che se il mondo della politica italiana rimasta in campo potesse liberamente scegliere chi mandare al Quirinale opterebbe massicciamente per Draghi.
A quel ceto politico e ai fondamentali centri del potere italiano la scelta attribuita a Mattarella piace e conviene, solo e soprattutto perché si libera il Quirinale, il luogo unico in cui poter confinare e isolare l’altro politico italiano che, grazie a Mattarella, ha già cominciato ad approfondire la crisi della vecchia politica provocando l’ecclissi dei suoi riti e l’indebolimento dei suoi antichi personaggi.
E’ Mario Draghi il potenziale leader che la politica rimasta in piedi nell’ultimo decennio teme più di ogni altra cosa. E’ lui che muove la linea strategica che sta contenendo il virus. Ed è soprattutto lui a garantire all’Europa che la montagna di miliardi che dovrebbero arrivare nel Belpaese verrà impiegata effettivamente per risanarlo e non per un altro bel pezzo di bella vita a scapito delle generazioni che verranno dopo. Ma soprattutto è Draghi ad avere in testa l’idea politica fondamentale che il meglio della politica italiana ha covato negli ultimi settant’anni (da De Gasperi a Nenni, da Saragat, a Napolitano, dal laico La Malfa al cattolico Mattarella, e in qualche modo perfino da Berlusconi) inseguendo il sogno e la speranza di un’Europa sempre più unita la cui forza, politica e militare unificate, non venga più frenata da ostacoli inaccettabile come quello dell’unanimità tra tutti gli Stati dell’Ue per prendere le decisioni che la maggioranza degli europei ritiene necessarie, si possa finalmente realizzare.
Domanda: qualcuno crede che non sia Draghi (promosso a Palazzo Chigi in solitudine e senza alcun consiglio o consultazione da un eroico Mattarella) l’uomo più temuto dalla vecchia politica? E qualcuno è convinto che l’universale preferenza e il vero e proprio sfegatato tifo della vecchia politica in crisi per promuovere Draghi al Quirinale non sia in realtà nient’altro che l’antico tifo italico del promoveatur ut amoveatur?
DUE. Ma la scatenata infodemìa dilagante in Italia rischia di complicare ancor di più le cose. Lo sforzo dei poteri forti dell’economia arretrata del nostro paese alleati con la debolezza della politica in crisi (nessun partito raggiunge un consenso decisamente oltre il 20 per cento, percentuale irrilevante di un elettorato in partenza già dimezzato dall’astensionismo e dal crescente rifiuto degli italiani ad essere coinvolti) rischia di confondere ancor di più le cose.
Il potere politico italiano, quello dei gruppi che controllano quel che resta dei partiti politici, vuole Draghi al Quirinale. Solo ingenui e sprovveduti possono pensare che a questa spinta sia estranea la voglia, vera e propria strategia inconfessata, di accantonarlo ed estrometterlo dalla gestione reale del paese. Su questo punto, anche se mai ufficializzato, c’è una convergenza di fatto tra le tutte le forze politiche italiane: destra, sinistra e centro con tutte le loro articolazioni. Tutti tengono presente e sottolineano che il Quirinale è l’arbitro non il giocatore. Può punire questo o quello. Può perfino fischiare il rigore ma non avrà mai il potere di tirare in porta e segnare. Insomma, sono altri a gestire pallone e strategie di gioco per portare a casa la vittoria (e quand'è possibile anche il pallone) imponendo uno stile o un attacco diversi e diverse modalità d’attacco. Ma soprattutto l’arbitro non può cambiare la squadra e i giocatori in campo.
Ma c’è un paradosso destinato a rilanciare l’antica diceria dello stellone che splende in permanenza sull’Italia e, sia pure all’ultimo minuto, la spinge fuori dai guai. Non è facile che il Parlamento italiano, che sarebbe felicissimo di votare Mattarella, essendo questa l’unica certezza sulla continuazione della legislatura fino alla scadenza prevista, voti in maggioranza per Draghi spostandolo al Quirinale. I parlamentari sanno, e di questo comunque sono convinti, che quasi certamente Draghi al Quirinale significherebbe lo scioglimento del Parlamento, nuove elezioni e la gran parte di loro a casa. Per sempre.
Nessuno, quindi, è in grado di garantire contemporaneamente Draghi al Quirinale e la continuazione della legislatura. Di più: nessuno è in grado di garantire che Draghi candidato al Quirinale raccolga i voti necessari ad eleggerlo (non solo nella prima votazione ma anche in quelle successive). I racconti dei giornali nelle scorse settimane sul mancato controllo delle centrali dei partiti sui propri gruppi parlamentari hanno questo retroscena e non fanno parte dell’infodemìa. La riforma costituzionale, già varata, ha ridotto i 945 parlamentari (630 deputati e 315 senatori) a 600 (400 deputati e 200 senatori). Ogni parlamentare, col Parlamento sciolto, avrebbe mancati introiti per oltre 150/200mila euro. Moltissimi, soprattutto quelli di prima nomina alle scorse elezioni (in gran parte 5s), perderebbero il diritto alla pensione e, a quanto pare, forse perfino i contributi già versati. Insomma, la grande maggioranza dei 945 parlamentari è consapevole di trovarsi all’ultimo giro di giostra.
Se Mattarella dicesse sì al Quirinale la stragrande maggioranza dei grandi elettori, sarebbero certamente felici di votarlo, perché hanno fatto una buona esperienza con Mattarella ma soprattutto per la certezza del completamento dell’attuale legislatura, che comprende i non pochi vantaggi connessi. Gli infelici sarebbero, però molti, a cominciare da tutti quelli che non vedono l’ora di veder Palazzo Chigi liberato da Mario Draghi.
*questo articolo è già stato pubblicato sul Dubbio del 15 dicembre 2012.