Le elezioni comunali e la primavera di Reggio

Le elezioni comunali e la primavera di Reggio

primavera      di ALDO VARANO - A Reggio è scoppiata la primavera. Non si sa quando si andrà al voto. Né se la richiesta dei commissari di altri sei mesi per ripulire la città (vedi lo scoop della Gazzetta del Sud) sarà accettata. Cavoli di Alfano: o firma il documento che certifica che la mafia al Comune c’era, tanto radicata che per la pulizia serve più tempo e che quindi il “complotto”, con buona pace di Scopelliti ed Arena, era una giustificazione ridicola o smentisce i suoi funzionari. Il nostro Acquaro lo aveva già spiegato che il ministro era nei pasticci.

Ma nonostante le incertezze non passa settimana senza che spuntino nuovi gruppi. Sembra la rivoluzione dei mille fiori. Cattolici, laici, posizioni terze, scaglie di vecchia sinistra. C’è chi spinge sul senso civico, il diritto di ricominciare o di guardare verso. Si occupano tutti gli spazi, esistenti o presunti.

Ma dietro il pullulare di novità cresce il sospetto di un’altra rivoluzione reggina. Il Gattopardo visto da qui pare un dilettante. Siamo noi i più bravi a incendiare Comuni e far rivoluzioni perché nulla cambi. Dalle primavere il cui profumo viene dissolto dalla prima folata di vento ai moti di Reggio è sempre la stessa storia: il Comune si riconsegna alle stesse “odiatissime” mani che lo controllavano prima.

I boccioli di queste settimane sono il segno che questa volta gliela facciamo vedere noi? Mai escludere a priori. Ma la sensazione è che la mitica società civile avverta come un cane di punta il vento carico di odori elettorali e ci dia sotto.

Ogni gruppo che nasce è una potenziale lista. Ogni lista può arraffare un bel seggio (o quota parte) per chi la crea, e belle promesse per chi ci mette la faccia. Tutti i gruppi sanno che per loro diventare riferimento di un progetto almeno dignitoso e credibile è inesistente. Progetti (che non si vedono) e buona volontà (scarsa) non bastano. Sono inutili se non riescono a calamitare la metà più uno dei voti.

Si rimuove, per ingenuità o furbizia (di più la seconda che ho detto) che la posta in gioco non è la costruzione della Città di dio, il sol dell’avvenire socialista o la società etica. Si decide chi amministra la città, con quali obiettivi e quali regole. Si può amministrare per favorire e/o migliorare il più possibile la vita dei reggini (tenendo conto delle situazione di partenza) o usare il Comune per fare quattrini (per la famiglia o il proprio gruppo) o come strumento di potere per la carriera e altro (obiettivo, del resto, che coincide con quello di tirar su quattrini).

Ma torniamo alla gemmazione dei gruppi e alle loro caratteristiche. Ognuno sta per conto suo. Non si pensa neanche alla metà dei voti più uno. Il perché è semplice: una volta ai cittadini (della mitica società civile) veniva chiesto di candidarsi. Ora il potente gli chiede: me la fai una lista? Il meccanismo è più lineare. E’ la razionalizzazione del degrado. Il sottinteso è: se hai veramente i voti, il seggio “te lo chiami”, io controllo quanti voti hai chiacchiere a parte e ti darò in cambio quel che porti. Chi aggrega le liste e concede l’apparentamento, intanto, si becca i voti; anche pochissimi possono fare la differenza per arrivare a metà più uno del totale.

Tutti si vantano di avere un progetto o di essere impegnati a costruirlo. Ovviamente, il progetto è importante. Ma pochi sono sfiorati dall’idea che per l’amministrazione di una comunità è altrettanto e ancor più importante avere un’idea di come vincere, di come mettere insieme la metà più uno dei cittadini. Un bel progetto ma le zero possibilità di realizzarlo è (quasi sempre) un trucco.

Ma quali differenze ci sono tra i gruppi che nascono in questi giorni e la gemmazione originata dalla tradizione della vecchia sinistra?

La destra è più accorpata, molte liste ma tutte allineate e apparentate. A destra battitori liberi (presunti) non ce ne sono. La sinistra parte dalla proclamazione dell’unità come pupilla dei propri occhi (Stalin, orazione al funerale di Lenin) e arriva regolarmente spaccata. E i colpi di testa di questo o quel gruppo non nascondono sempre motivi nobili.

Sia destra che sinistra, in realtà, rispettano scrupolosamente e con la stessa determinazione, i propri convincimenti. La destra sa di correre per il potere: si separa, si conta e colpisce unita. La sinistra sa che la vittoria non è alla sua portata quindi può spacchettarsi per consentire a ognuno dei suoi piccoli leader di afferrare un pezzetto di seggio, magari propedeutico per affacciarsi ad altre soglie.

Insomma, ognuno gioca correttamente con le regole del proprio destino. La destra, condannata a vincere. La sinistra, condannata a perdere. Si può cambiare il destino? Certo che no, pensano tutti gli uomini piccoli piccoli. E neanche ci provano.

Andrà così fin quando tutti, facendo finta che non ci sia altro da fare, continueranno fedelmente ad accettare lo schema della partita che impone da un lato il centro destra e dall’altro il centro sinistra. I ruoli sono preassegnati. Si sa già come andrà a finire. I giocatori delle varianti marginali puntano a quel che possono: da destra, per avere qualche strapuntino; da sinistra, per accaparrarsi la palma del miglior perdente.