
la città sarebbe un luogo invivibile per la stragrande maggioranza degli italiani. Figuriamoci per gli stranieri.
Diamo un'occhiata, però, ai nostri compagni di sventura.
Due metropoli, anzi due città metropolitane, proprio come Reggio. L'una retta da un ex magistrato che in Calabria ha costruito le proprie (discusse) fortune politiche, l'altra governata da un sindaco ex democristiano, reso famoso anche dai suoi violenti attacchi a Giovanni Falcone per fantomatiche carte che il magistrato avrebbe tenuto nascoste in un cassetto. Entrambi pescati nella prima fase dell'antipolitica e rimasti ora contusi nella sfortunata impresa di Antonio Ingroia. Tutti e due comunque targati dal disciolto Idv di Antonio Di Pietro e scampati per un soffio all'ondata grillina. Almeno per ora.
Reggio non ha ancora traversato un simile destino. La città si è sempre tenuta al riparo da capipopolo e rivoluzionari, un radicale moderatismo la pervade. Superata l'insurrezione dei moti del 70 la città ha smesso di credere nei messia della politica e dell'antipolitica, fidandosi piuttosto di abili mediatori degli interessi dei ceti borghesi e delle aspettative clientelari delle fasce sociali più deboli.
Superato il commissariamento c'è da credere che le cose non cambieranno. A meno che, in un sussulto di orgoglio, la città non riesca a realizzare una sintesi tra innovazione e conservazione, tra la promozione del rinnovamento e la considerazione non demagogica e populista delle proprie necessità e del proprio sviluppo. Vedremo.
A proposito Palermo, Napoli e Reggio Calabria sono anche le capitali, mondiali secondo qualcuno, delle mafie, ma la vita quaggiù è pessima per ragioni che poco hanno a che fare con il crimine organizzato. Sarebbe ora di smetterla con quei pezzi della politica calabrese che all'unisono canticchiano "meno male che la ndrangheta c'è" (il motivetto lo sappiamo) e così pensano di sottrarsi alle proprie, gravi responsabilità. La cosa seria è che in quest'operazione di depistaggio la malapolitica è aiutata (obiettivamente) da pezzi della società civile, del giornalismo e, finanche, della stessa magistratura che ancora non affondano il bisturi nei meccanismi opachi della corruzione e della spartizione delle risorse pubbliche, ossia in tutto quello che vale quota -105.